di Pasquale Hamel (foto accanto) - La responsabilità della decisione del dicembre 1816 di unificare i dure regni, quello di Sicilia e quello di Napoli, per dar vita ad una nuova entità, cioè al Regno Delle Due Sicilie, si fa tradizionalmente risalire a re Ferdinando ed ai suoi più stretti collaboratori.
In realtà quella decisione era già stata assunta l’anno precedente e della stessa si era fatto mentore il governo di Sua Maestà Britannica e, in prima battuta dall’ambasciatore sir William A’ Court, nel corso della definizione del protocollo finale elaborato dal Congresso di Vienna. Infatti, nonostante qualche perplessità avanzata da alcuni dei partecipanti, alla fine, in ossequio al principio di “legittimità”venne deciso di restituire i territori già parte dei domini borbonici, a Ferdinando. L’articolo centoquarantaquattro del lungo protocollo decretava, infatti, Ferdinando “re del regno delle Due Sicilie” piuttosto che, come sarebbe stato più corretto, di “re delle due Sicilie”. Una differenza apparentemente insignificante ma che, in realtà, significava la dichiarazione di estinzione dell’antico Regno di Sicilia e l’aggregazione dell’isola nel contesto di un regno più vasto, appunto il futuro Regno delle due Sicilie. Chi di questa furbata si rese conto fu l’onesto e ascoltato principe Carlo Cottone di Castelnuovo che, dopo il ritorno dei Borbone, si defilò rimanendo in posizione d’attesa. Fu Francesco di Borbone, erede al trono e già firmatario della Costituzione in nome e per conto del padre, a tentare di ammorbidire la situazione ma lo fece, com’era d’altra parte nel suo stile, in maniera maldestra. Egli pensava infatti che i siciliani avessero ammorbidito il loro attaccamento alla costituzione, ma si sbagliava. Arrivato il 6 luglio 1816 a Palermo, ebbe un’accoglienza festosa ma non gli ci volle molto a rendersi conto che le manifestazioni di giubilo erano sovrastate dalle grida frenetiche di “Viva l’indipendenza e la Costituzione”. Di fronte all’ostinazione del Castelnuovo, Francesco immaginò di poterlo blandire e, contando sul fatto che gli aristocratici siciliani erano particolarmente avidi di titoli e onorificenze, gli fece pervenire un cofanetto dentro il quale c’erano “la fascia di San Gennaro” e la “Chiave di gentiluomo di camera”. Castelnuovo, con grande dignità, ricompose con cura gli oggetti nello scrigno e dopo averli riconsegnati al dignitario che glieli aveva consegnati, si dice che avesse detto “Ringraziate per me S.A.R ma riferitegli che, alla mia età, non depone bene trastullarsi con i balocchi”. Il vecchio politico siciliano, dopo avere tentato di convincere i suoi amici aristocratici ad adottare la resistenza passiva contro le pretese borboniche, si risolse ad adottarla singolarmente. Fu il solo, ad esempio, a rifiutare di pagare le imposte attendendo, come di fatto avvenne, di essere costretto a forza a pagarle. (da il Sicilia.it)