by Pasquale Hamel - La presenza ebraica in Sicilia è antica e importante. Antica perché, seppure le tracce non siano sempre chiare, i primi insediamenti ebraici nell’isola si possono far risalire agli anni immediatamente successivi alla diaspora, importante perché,
nel tempo la comunità ebraica siciliana, è cresciuta in numero fino a divenire la più numerosa della penisola. Verso la fine del medioevo, secondo le puntuali ricerche di Slomo Simonshon, ammontavano a circa 25.000, «più della metà si tutti quelli presenti in Italia». Le condizioni in cui vissero in Sicilia e il peso che hanno avuto nell’economia isolana, consiglierebbero quindi di non parlare di ebrei in Sicilia quanto di siciliani-ebrei. Gran parte degli ebrei siciliani erano impegnati nell’artigianato (lavoravano il ferro, i metalli preziosi, il corallo), erano anche impegnati nella pesca, molti erano i mercanti che si muovevano all’interno del territorio isolano, altri prestavano la loro manodopera nei cantieri, c’erano anche contadini, anche se in percentuale ridotta rispetto alla consistenza complessiva della popolazione. Di benestanti, e quantomeno di ricchi, ce n’erano pochi e si trattava di una delle fasce più povere della popolazione residente nell’isola. I siciliani-ebrei, rispetto ad altri luoghi dell’occidente cristiano, non furono sottoposti a particolari discriminazioni e, almeno fino all’arrivo degli Aragonesi, vivevano, gomito a gomito, con la maggioranza cristiana, in pacifica convivenza. Le prescrizioni discriminatorie e degradanti nella vita quotidiana vigenti in altri luoghi, salvo brevi periodi, in Sicilia venivano in parte o totalmente ignorate con il tacito assenso della stessa Chiesa. Nella storia dell’isola, almeno fino al XIV, non si ha memoria di episodi eclatanti di antigiudaismo e questo, come appare evidente, é un dato eccezionale rispetto all’Occidente. Nel XV secolo, soprattutto nella seconda metà, però la storia comincia a cambiare. L’antigiudaismo penetra in alcune parti dell’isola anche se ha natura episodica e locale. L’ eccidio di Modica, del 1474, fu l’episodio più grave di questo mutamento di clima, in quell’occasione il popolo eccitato da fanatici, irruppe nel ghetto uccidendo senza giustificazione circa 360 siciliani-ebrei e fra essi anche donne e bambini. La rottura della convivenza – che, si ribadisce, non fu mai generalizzata – si formalizza con l’editto d’espulsione del 1492. Un editto voluto dalla monarchia spagnola e accolto in Sicilia con poco entusiasmo dai ceti dominanti. Come conseguenza di quell’editto la gran parte dei siciliani-ebrei, spogliati dei loro averi, lasciò l’isola per raggiungere Roma e altri luoghi della penisola ma, anche, le coste nordafricane (la Tunisia e l’Egitto) e i territori, soprattutto europei come la Grecia, dell’impero ottomano. I siciliani-ebrei, che non lasciarono l’isola, furono costretti alla conversione e, nonostante questo, subirono vessazioni e spesso furono vittime dell’Inquisizione. Dalla diaspora dei siciliani ebrei, l’isola ne ebbe un danno notevole, essi costituivano infatti quello che avrebbe potuto essere “in nuce” il nucleo originario di una borghesia che nell’isola non si é mai formata. Delle pesanti conseguenze dell’espulsione, sulla vita economica della Sicilia, si resero conto dopo molti anni i governanti dell’isola, tanto che Carlo III, il principe illuminato che principiò la dinastia dei Borbone di Sicilia, nel 1736 emanò un atto con il quale, nonostante l’opposizione degli ecclesiastici, si invitavano quelli che erano stati siciliani-ebrei a rientrare nel Regno. Quell’appello cadde nel vuoto, risposero ben pochi a quell’invito. Altri tentativi furono fatti nel tempo ma la frattura del 1498 si manifestò come insanabile.(Pasquale Hamel)