di Salvatore Bonura (foto accanto) - Nel 1875 la Piana di Catania ( un’ area estesa 43.000 ettari di origine alluvionale, caratterizzata dalla convivenza delle colate laviche e da una vegetazione in continua mutazione proprio a causa della lava ) era dominata dalla pastorizia e dalle coltivazioni estensive.
Sul versante occidentale dell’Etna dominavano gli uliveti, i frutteti e i vigneti, spesso in coltura promiscua, mentre sul versante orientale, in particolare lungo il litorale Acireale - Fiumefreddo si coltivava il limoneto e altri prodotti agrumicoli. A Catania c'erano soltanto due piccole fonderie. Sul finire dell'Ottocento nascono in città due grandi opifici meccanici per la costruzione di macchine idrauliche, candelabri, conduttore d'acqua e utensili; si espande in quegli anni l'industria molitoria di grano e cereali che prende il posto di quella tessile giå in declino; si sviluppa l'industria dello zolfo (il porto diventa il più importante polo di esportazione di zolfo e di prodotti agrumari) ; comincia a farsi spazio l'industria alimentare e conserviera che si affianca a quella della lavorazione del pesce salato; sorge nel 1880 la prima fabbrica di conserve di pomodoro. Catania nel 1881 fu la prima città della Sicilia ad usare l'energia elettrica per illuminare una piazza. Alla fine dell'Ottocento la città etnea era caratterizzata da una selva di capannoni e ciminiere, a tal punto, che alcuni arrivarono a paragonare Catania alla città inglese di Manchester. Negli ultimi anni del secolo si manifesta la prima crisi bancaria; comincia la lenta e progressiva chiusura di ciminiere; iniziano le difficoltà connesse alla sovrapproduzione di zolfo. Negli ultimissimi anni dell'Ottocento e all'inizio del nuovo secolo comincia a svilupparsi il trasporto: si costruisce la Ferrovia Circumetnea e inizia la realizzazione della rete tranviaria. Nel 1902 con la vittoria dei socialisti alle elezioni municipali e l'elezione a prosindaco di Giuseppe De Felice Giuffrida Catania si avvia a diventare la Milano del Sud. Al promotore dei fasci siciliani ( incarcerato da Crispi,dopo aver conquistato due seggi al Parlamento ), si deve anche la fondazione della Camera del Lavoro e l'avvio della municipalizzazione di alcuni servizi. Con la Grande Guerra si assiste al crollo dell'economia: porto quasi completamente fermo; stabilimenti chiusi; pesca limitata per decreto luogotenenziale; fallimenti commerciali; scomparsa di mutui; mano d’opera al fronte. Durante il fascismo Catania diventa una città sonnolenta dedita ad attività terziarie e tramonta il sogno di “ Capitale Industriale dell’isola “. Negli della seconda guerra mondiale l'economia rimane in uno stato di forte depressione; la stessa esportazione di prodotti agricoli subisce le conseguenze di un mercato chiuso; i bombardamenti, cui fu sottoposta la città e la provincia etnea, danneggiarano enormemente vigneti e agrumeti, oltre a danneggiare e distruggere abitazioni civili, strade, impianti ferroviari, aeroporto, capannoni industriali e centrale elettrica. A cavallo degli anni 50 e 60 si risveglia e si manifesta lo spirito di ricostruzione e d'intrapresa dei catanesi e la laboriosità delle genti delle campagne. Nasce a sud della città, a Pantano d’Arci, la Zona Industriale; nascono e si sviluppano in modo impetuoso grandi imprese edili; fioriscono attività commerciali e ritorna il mito di Catania “ Milano del Sud “. La Piana di Catania, una delle zone più calde d'Europa, intanto, grazie alla possibilità offerta dell’irrigazione e ai sacrifici inenarrabili di braccianti e contadini che trasformano anche le “sciare” , cambia completamente volto. Spuntano come funghi gli agrumeti che ben presto coinvolgono anche la piana di Mineo e alcune aree di Caltagirone e Grammichele. La Piana grazie ad una predisposizione naturale alla coltivazione di agrumi, in particolare di arance e ad una resa mediamente alta diventa con il suo 42 per cento di superficie agrumetata la capitale mondiale nella coltivazione di arance a polpa pigmentata: moro, sanguinello e tarocco le varietà più diffuse. L'espansione urbanistica di Catania si svolge in modo caotico e contraddittorio. Mentre la speculazione edilizia raggiunge il suo apice con il cosiddetto “ Sacco di San Berillo “ ( lo sventramento di una parte significativa del Centro storico ), si dà l'incarico di redigere il Piano Regolatore al grande architetto giapponese Kenzo Tange che disegna uno sviluppo urbanistico equilibrato e volto a valorizzare i quartieri periferici della zona sud della città. Catania in quegli dimostra di essere una città dinamica, ricca di imprenditorialità autonoma, al contrario di altre città del Sud e siciliane che subiscono una industrializzazione di tipo coloniale, che devasta il territorio e crea, nel contempo, delle vere e proprie lacerazione sociali. Il rilancio economico e culturale si scontra però, a partire della metà degli anni 70 con la nuova mafia e con la degenerazione del potere politico. Infatti anche a Catania, facendo leva su un tessuto delinquenziale cresciuto con il contrabbando di sigarette e con la prostituzione, si organizza un potere mafioso che condiziona la vita civile, le attività economiche e la politica. La crisi politica che si evidenzia alla fine degli anni 80 lascia la cittå senza una guida autorevole e illuminata e determina: il blocco di importanti opere pubbliche e dell'edilizia abitativa, che erano state il volano dello sviluppo degli anni precedenti; la crisi profonda dell'apparato industriale; il deperimento delle attività economiche e l'impoverimento del dibattito culturale. Catania , però , non perde la sua identità di città moderna e laica. Negli anni 80 infatti si manifesta una reazione democratica contro la mafia e i comitati d'affari che incrina i vecchi e consolidati equilibri di potere. Nella seconda metà degli anni 80 cadono i cavalieri del lavoro ( Rendo- Costanzo-GraciFinocchiaro ), la cui ascesa nel mondo dei grandi appalti, favorita dalla cattiva politica e in parte dal connubio con alcuni spezzoni criminali, aveva preoccupato non poco la grande imprenditoria del Nord. Nasce la cosiddetta “ Primavera di Catania “ che si consolida agli inizi degli anni 90, quasi contestualmente sorge per iniziativa dell'ingegnere Pasquale Pistorio una azienda di microschip d'avanguardia. Quindi dopo il crollo del mito della “ Milano del Sud “ viene coniato lo slogan di una “ Etna Valley “. L'università sforna ingegneri elettronici, le scuole professionali formano operai specializzati . Molti di questi giovani accettano di restare ( accontentandosi di una remunerazione che non supera i mille euro ) per scommettere nel cambiamento e per invertire il flusso migratorio. Ma quella sfida contro il destino dura poco, si infrange contro le promesse della politica e le scelte delle grandi aziende che preferiscono puntare sugli stabilimenti del Nord e dell'estero. Negli anni 90 si assiste comunque al risveglio del Centro storico che ben presto si trasforma in un luogo dove è possibile circolare e divertirsi a qualsiasi ora del giorno e della notte, fioriscono nuove attività artistiche e culturali, nascono nuove attivitå imprenditoriali per iniziativa di giovani e donne, si progettano reti telematiche, si valorizza, anche a fini turistici il patrimonio ambientale e storico. Negli anni 2000 finita la sbornia dei Patti territoriali e del Progetto Urban, la città e la provincia si avviano a un lento declino che vede ridimensinarsi la Zona Industriale, declinare il commercio, acuirsi la crisi dell'agricoltura. Oggi Catania ė sempre molto bella, ha un grande aeroporto, sta per essere completato l' interporto, offre tanti servizi, ha la “ movida “, ha i mgliori negozi, ha il mercato del pesce più vivo e pittoresco della Sicilia, ma è una città profondamente in crisi, da dove si ritorna a scappare in cerca di lavoro. Una città dove tutto langue, a causa di una politica nazionale le cui scelte continuano a privilegiare il Nord e di una classe dirigente locale priva di visione, che da troppo tempo naviga a vista. Cenni sui flussi migratori I flussi migratori dalla provincia di Catania iniziano nell’Ottocento, quando circa 20.000 persone allora impiegate nella coltivazione dei vigneti dell'area jonica-etnea devono fare i conti con i danni provocati dalla filossera ( un insetto che danneggia la vite ). Dal 1875 al 1890 parte quindi il primo fiume umano che coinvolge i comuni di Piedimonte Etneo, Randazzo, Linguaglossa, Calatabiano, Fiumefreddo e Mascali, sollecitato anche dalle pressioni esercitate dalla Compagnia di Navigazione Transeoceanica , i cui agenti e sub-agenti sguinzagliati nell’isola vendevano,financo nelle zone più remote della Sicilia, biglietti a tariffe allettanti. A questa prima ondata migratoria ne segue un'altra all'inizio del Novecento che raggiunge il picco della grande emigrazione nel 1913 con oltre 20 mila persone che si dirigono prevalentemente negli Stati Uniti ( attratti dalla possibilità che offre il forte sviluppo edilizio che interessa New York e altre grandi città americane dove si realizzano palazzi, strade, linee ferroviarie), ma anche in Argentina e Brasile. Agli inizi degli anni 30 si registra un’altra flusso migratorio – molto meno significativo dei precedenti – diretto prevalentemente in Argentina che interessa soprattutto i pescatori dei comuni della fascia jonica ( Acireale, S.Maria la Scala, Pozzillo, Riposto, Giarre ). Altre ondate migratorie si rilevano subito dopo la conclusione del conflitto della Seconda guerra mondiale, segnatamente negli anni 1949- 1959, quando partono dai comuni del Calatino Sud- Simeto e dei comuni del versante occidentale dell'Etna migliaia di persone che si dirigono verso l'Argentina, il Venezuela, L’Australia, il Brasile e il Belgio dove si andava a lavorare nelle miniere di carbone. Nel 1956, a causa della sciagura di Marcinelle, il flusso verso il Belgio si interrompe e si ingrossa quasi contemporaneamente quello verso la Francia, la Germania e la Svizzera. Agli inizi degli anni 60, segnatamente tra il 1960 e il 1965 la situazione muta radicalmente: l'85 per cento dei migranti non varca più i confini del Continente e gran parte del flusso si dirige verso il vertice del cosiddetto triangolo industriale ( Milano- Torino- Genova ). Dal 1965 sino ai primi anni del duemila dalla città e dalla provincia di Catania non si registrano più migrazioni particolarmente significative. Con ciò non si vuol dire che non ci siano state più partenze, si vuole dire solo che i rientri ( prevalentemente dal Venezuela e dal Belgio ) compensano grosso modo le partenze. Dal 2002 al 2018 si rileva, invece, un saldo migratorio con l'estero sempre positivo, ad eccezione del 2006 e del 2016 quando si registra un saldo negativo, rispettivamente di – 130 unità e – 29 unità, questo significa che gli arrivi dall'estero sono maggiori rispetto agli espatri con punte significative nel 2007 e nel 2008 quando gli arrivi dall'estero passano dai 1900 del 2006 ai 5.132 del 2007 e ai 5.002 del 2008. Dal 2009 a 2019 sono riprese le partenze - a un ritmo sempre più crescente – coinvolgendo in una prima fase lavoratori che avevano perso il lavoro a causa della grande crisi del 2007 e in una seconda fase giovani laureati e diplomati stanchi di aspettare in Sicilia un lavoro che purtroppo non arriva mai. Oggi dunque si continua a partire con destinazione Germania ( Monaco,Stoccarda, Dortmund ); Regno Unito ( Londra e Southampton); ma si va anche in alcuni Paesi dell'Est, in Australia, Olanda, Singapore, Emirati Arabi. Nel 2019 gli iscritti all'Aire relativi alla provincia di Catania sono120.773; i Paesi di residenza dei nostri emigrati sono nell'ordine la Germania con 42.773 residenti, la Svizzera, l'Argentina, l'Australia e la Francia. Gli iscritti all'Aire provengono da tutta la provincia, in particolare da Catania ( 19.448 ), Adrano ( 8.696 ), Bronte ( 4.551 ), Palagonia ( 3.586 ), Randazzo ( 3.184 ), Ramacca ( 2.400 ), ecc. La storia degli emigrati della provincia di Catania Nel mondo, al pari di quella degli emigrati di altre province, è stata spesso caratterizzata fin dall'inizio delle grandi ondate da eventi dolorosi come quelli connesse alle traversate transoceaniche, alle sciagure minerarie, alla nostalgia, alla solitudine, al razzismo. Con il trascorrere del tempo e con la progressiva integrazione nei Paesi che li hanno accolti i catanesi hanno conquistato posti di responsabilità, incarichi di rilievo e si sono distinti nel campo delle arti, delle scienze, della finanza e della politica. Immigrazione nella città metropolitana di Catania I residenti stranieri nella città metropolitana di Catania al 1 gennaio 2019 sono 37.191 e rappresentano in valori percentuali il 3,4 per cento della popolazione residente. La comunità straniera più numerosa ė quella rumena che conta 11.702 unità e rappresenta il 3,1 per cento di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dalla comunità proveniente dallo Sri Lanka con 4.079 unità e da quelli arrivati dalla Repubblica Popolare cinese con il 6,0 per cento. Seguono le comunità albanese (1.816 ) e quelle giunte dalle Mauritius 1.511 ( 4,02 per cento ), Marocco ( 1.450 ), Bulgaria ( 1.121 ),Tunisia ( 1.103 ), Bangladesh ( 1.077 ), Senegal ( 1.070 ). Sono altresì presenti altre comunità straniere, ma con un numero di residenti sotto le mille unità, tra queste segnalo i residenti provenienti da Polonia, Filippine, India, Ucraina,ecc. Tali comunità risiedono in tutti i comuni della provincia di Catania. Guida questa particolare classifica la città capoluogo con 13.977unità, seguono nell'ordine in valori assoluti: Giarre ( 1.520 ), Caltagirone 1.517 ), Acireale ( 1.433 ), Misterbianco ( 1.243 ), Paternò (1.048 ). Nei comuni sotto i cinquemila abitanti sono in testa Mazzarrone e S. Cono che contano rispettivamente 612 e 319 residenti stranieri. Ė utile rilevare che la presenza straniera percepita dalla stragrande maggioranza della popolazione indigena è di gran lunga maggiore rispetto a quella effettivamente residente; ciò vuol dire che è rilevante il numeto degli immigrati irregolari. Le attività dove sono impiegate le comunità straniere sono: la polaccha, le donne lavorano prevalentemente come badanti e gli uomini in agricoltura; quella dello Sri Lanka nel commercio ambulante e a posto fisso; la cinese esclusivamente nel commercio a posto fisso; la senegalese nel commercio ambulante e nell'edilizia; la Bulgara nell'edilizia e nei trasporti; la comunità albanese nell'edilizia e in agricoltura; le comunità ucraine Filippine nel campo dei servizi alle famiglie; le comunità indiane e del Bangladesh nella ristorazione e nel commercio. Salvatore Bonura