Di Salvatore Vento, sociologo e documentarista (foto accanto) - Dal 2004 quando Genova si celebrò come “capitale europea della cultura” sono trascorsi quindici anni. Io penso che per una riflessione contemporanea del “fare cultura” si debba ripartire proprio da qui.
Esisteva la Consulta delle associazioni i cui lavori dei sei tavoli tematici furono sintetizzati nel volume “Genova 2004 in viaggio con le associazioni” che raccolse i contributi scritti da 80 rappresentanti di questi gruppi. Non è un caso che il tema del viaggio (in senso fisico e metaforico), quale emblema della città, avesse riscosso il più vasto consenso. C’era, in quel periodo, il bisogno di aprirsi al mondo e di recuperare quello spirito di avventura e di scoperta rimasto per lungo tempo come nascosto. Innanzitutto riscoprire e amare la propria città per poi poterla raccontare. Da allora, direbbero gli operatori dei singoli settori, molti progressi sono stati compiuti nel sistema museale, nel sistema bibliotecario, nella frequentazione dei “Palazzi dei rolli”, nella programmazione di Palazzo ducale, nella nascita del Teatro nazionale, nella musica, nella poesia, nel festival della scienza. Ma rimangono ancora aperti i rapporti tra le attività culturali concentrati nell’area centrale con quelle, ricche di potenzialità, che si svolgono o si potrebbero arricchire col contributo delle biblioteche e dell’associazionismo di quartiere. Da questo punto di vista ho avuto una buona impressione del recente “Mercanti di storie”, per raccontare la Certosa di ieri e di oggi, quale evento conclusivo del laboratorio teatrale curato dalla Compagnia del Suq. Il recupero della memoria non come operazione nostalgica, ma come selezione delle cose nobili del passato, che presuppongono consapevolezza storica e visione di futuro. La cultura infatti non è un settore specialistico, ma una funzione globale della vita delle persone. Ciò significa che non esiste una cultura davanti alla quale ogni altra attività sarebbe incolta, ma tante culture quante sono le attività. Lele Luzzati direbbe che siamo tutti artigiani della cultura. Di conseguenza il processo culturale si caratterizza anche per la sua capacità di produrre buone relazioni sociali, che si consolidano nel tempo e influiscono su quei comportamenti quotidiani che spingono a seguire virtù e conoscenza. Ricordo le note osservazioni del giovane Tocqueville sul suo viaggio negli Stati Uniti quando, nei lontani anni trenta dell’Ottocento, rimase impressionato dalla diffusione di associazioni tra i cittadini. Ogni vita, affermava, a sua volta, Italo Calvino, è una biblioteca, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili. Se condividiamo questi presupposti dobbiamo essere consapevoli che a Genova rimane sempre attuale la necessità di lavorare insieme, superando ogni autoreferenzialità e l’ossessione di organizzare eventi che soddisfano il proprio narcisismo, così come si si è cercato di fare in certi momenti della storia della città e, per quanto mi riguarda, con la Consulta delle associazioni del 2004.