“LA NUOVA EMIGRAZIONE ITALIANA A SHANGHAI: RIFLESSIONI AI TEMPI DELLA PANDEMIA” – DI GRAZIA MOFFA (PER FRANCO ANGELI EDITORE)

Il prisma della nuova emigrazione italiana: il caso della Cina.

Note introduttive Dagli anni Ottanta le migrazioni possono considerarsi un fenomeno “globale” (Calvanese, 1992; Castles e Miller, 1993)

e Paesi di tradizionale emigrazione, come l’Italia, diventano aree di transizione migratoria con flussi sia in entrata sia in uscita. Proprio all’interno di questo quadro, il caso italiano appare di particolare interesse, presentando diversi elementi di novità, soprattutto per quel che riguarda lo studio della nuova emigrazione. L’esperienza migratoria italiana del dopoguerra si contrassegnava per il suo carattere massiccio e temporaneo, per i suoi legami con la situazione economica e politica e per un’assoluta prevalenza delle forze lavoro (Pugliese, 2002). Rispetto al recente passato, le emigrazioni italiane del terzo millennio mostrano al loro interno diversificazioni dei modelli e degli status più tipiche delle migrazioni contemporanee (cfr. Castles e Miller, 1993, 2012). Queste appaiono oggi piuttosto articolate e non si esauriscono nella definizione di “emigrato economico”. Negli anni Ottanta, a seguito delle trasformazioni intervenute sia nella struttura sociodemografica sia in quella del mercato del lavoro, si registra in Italia una flessione dei movimenti migratori in uscita. Tuttavia, già a partire dal decennio successivo, si assiste a una ripresa crescente delle emigrazioni interne e internazionali. Questo flusso coinvolge una differente tipologia di protagonisti. In questo scenario cambiano: (i) le aree di partenza, (ii) i livelli di istruzione, (iii) i motivi di spinta. Il quadro delle attuali migrazioni italiane, dunque, si presenta complesso e ricco di interrogativi. Le trasformazioni geopolitiche, insieme a una più fluida mobilità degli individui, rendono ancor più ampio il concetto teorico di emigrazione. In queste pagine il termine sarà utilizzato nella sua accezione più vasta facendo riferimento a tutti gli spostamenti umani – internazionali o meno – alquanto duraturi e mossi dagli obiettivi più disparati. Più precisamente, nel nostro lavoro di ricerca abbiamo fatto riferimento alla “nuova” emigrazione italiana, che da un punto di vista temporale si fa coincidere con la consistente ripresa dei flussi di emigrazione negli anni della Grande Recessione del terzo millennio (dopo il 2007). I confini che definiscono il tema proposto sono ancora sfuggenti. Per mettere meglio a fuoco alcuni aspetti di nostro interesse, proponiamo quindi in queste pagine alcuni nodi principali affrontati dagli studi più recenti in materia di emigrazioni. In questo capitolo introduttivo – una volta tratteggiata la cornice teorica di riferimento – ci si concentrerà sugli aspetti quantitativi che fanno da sfondo alla nostra ricerca di campo. Per meglio contestualizzare lo studio realizzato in Cina, si è infatti ritenuto necessario analizzare alcuni dati sintetici relativi alla presenza degli italiani nella Repubblica Popolare Cinese e nella metropoli di Shanghai. 1. La ripresa dell’emigrazione italiana nel terzo millennio: tra dati e percezione In Italia, i flussi in uscita subiscono una forte crescita negli anni Novanta. Parallelamente, dopo circa un ventennio di abbandono, riprendono anche gli studi sulle emigrazioni italiane e sulle nuove articolazioni del fenomeno migratorio, che si propongono di analizzare i movimenti in atto alla luce delle dinamiche migratorie contemporanee (Calvanese, 2000, Bevilacqua, De Clementi e Franzina, 2001-2002; Pugliese, 2002; Corti, 2003; Maffioletti e Sanfilippo, 2004). Il tema della mobilità interna – ancor più trascurato e poco sviluppato – riemerge con le pubblicazioni, tra le altre, di Mezzogiorno e migrazioni interne dell’Istituto di ricerche sulla popolazione (IRP-CNR) a cura di Corrado Bonifazi (1999); L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne (Pugliese, 2002); Emigrazione e immigrazione in Campania (Calvanese e Carchedi, 2005). Gli studiosi rilevano alcune delle novità che accompagnano la ripresa dei movimenti interni, notando come questi sembrino piuttosto «indirizzati verso il nord-est, invece che verso il tradizionale triangolo industriale, con un’originale composizione di giovani laureati e diplomati non soddisfatti dalle possibilità di impiego nei Paesi d’origine del Mezzogiorno d’Italia» (Calvanese e Carchedi, 2005, p. 22). Inoltre, si pone in evidenzia il fatto che i flussi sono alimentati dagli immigrati che si spostano lungo l’Italia in cerca di condizioni migliori (Bonifazi, 2009; Casacchia et al., 2010). Tra i contributi sul tema si possono annoverare anche quelle ricerche che hanno rivolto una più specifica attenzione alle conseguenze delle migrazioni sulle aree di origine degli emigranti (Piras e Melis, 2007; Bacci, 2007; Panichella, 2009; Golini e Reynaud, 2011). Un’interessante analisi sulle nuove migrazioni interne a partire dalle caratteristiche dei comuni di origine è proposta dall’Istat, che dedica all’argomento il volume La recente mobilità territoriale in Italia (Istat: Cantalini e Valentini, 2012). Contemporaneamente, gli studi osservano un’ulteriore novità: la considerevole ripresa delle emigrazioni dal Mezzogiorno verso le regioni settentrionali si accompagna a movimenti di espatrio che coinvolgono l’intera nazione (cfr. Colucci, 2012). La ripresa significativa dell’emigrazione italiana di inizio millennio, interna e internazionale, è chiara mente percepibile dalle rilevazioni periodiche dell’Istat e dai registri dell’AIRE che – seppure con qualche differenza – presentano dati in continua crescita. Tuttavia, un fenomeno di tale portata sembra restare ancora sullo sfondo, tardando a inserirsi a pieno titolo tra le questioni emergenti. Gli studi fin qui richiamati sono tra i pochi a mettere in luce l’intensità e la varietà dei cambiamenti che hanno coinvolto i flussi migratori italiani, e a evidenziarne la loro rilevanza teorica. La questione non è affrontata in modo sistematico e resterà nell’ombra ancora diversi anni prima di tornare a far parte del dibattito scientifico. Agli inizi del decennio appena trascorso, alcune voci isolate evidenziano tale vuoto teorico in campo scientifico e, ancor di più, in campo politico (cfr. FILEF, 2014). Nel tentativo di riportare al centro del dibattito il tema della ripresa dell’emigrazione internazionale, alcuni studi iniziano a denunciare le sottostime prodotte dai sistemi di registrazione italiani di un fenomeno che è numericamente più consistente: attraverso analisi puntuali dimostrano che i dati statistici ufficiali non riescono a coglierne la portata. Per motivi di ordine metodologico, infatti, non è possibile quantificare in maniera precisa l’intensità dell’attuale emigrazione italiana all’estero, così come non è possibile farlo con l’emigrazione interna. Per lo studio di quest’ultima, si fa rifermento alle iscrizioni e alle cancellazioni anagrafiche tra comuni italiani per trasferimento di residenza, consentendo di conoscere a livello comunale sia l’origine che la destinazione dei trasferimenti individuali. Eppure, il quadro resta parziale, dato che non è obbligatorio formalizzare gli spostamenti. Per il conteggio dell’emigrazione internazionale, invece, si fa riferimento alle raccomandazioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (UN, 1998), che definisce migrazione internazionale «lo spostamento di un individuo dal proprio Paese di residenza abituale per un periodo di almeno 12 mesi». Questo specifico criterio di classificazione crea un disallineamento tra i dati ufficiali e gli spostamenti reali, perché non considera la complessità dei movimenti migratori contemporanei. Ad esempio, un migrante giunto in un altro luogo, in Italia o all’estero, non sempre cambia immediatamente la propria residenza e non sempre permane in tale luogo per un periodo continuativo così prolungato, dal momento che il suo movimento migratorio è di solito articolato e spesso interessa più direzioni in archi temporali brevi. Marida Cevoli e Rodolfo Ricci, nelle loro analisi di approfondimento sull’emigrazione internazionale, fanno notare che in Germania e nel Regno Unito gli arrivi degli italiani nel quinquennio 2011-2015 sono almeno doppi rispetto a quelli riportati dall’Istat. Infatti, i dati raccolti dall’Istituto Statistisches Bundesamt tedesco e dall’Istituto National Insurance Number inglese registrano un notevole scostamento dai dati Istat, riportando numeri molto più elevati (Ricci, 2016; Cevoli e Ricci, 2017). I due studiosi dimostrano che nel 2015 la somma dei soli arrivi in Germania e Gran Bretagna supera di 280mila unità il dato delle cancellazioni di residenza per tutti i Paesi del mondo registrato dall’Istat. Le analisi quantitative segnano progressivamente una variazione più cospicua dei flussi migratori: l’implicazione pratica che ne deriva è una rinascita degli studi sull’emigrazione da parte di Istituti di ricerca e Centri Studi. Un contributo costante sullo sviluppo nel tempo degli aspetti collegati al fenomeno è dato dai Rapporti pubblicati annualmente dalla SVIMEZ e dalla Caritas Migrantes, nonché dagli studi dell’IRPPS condotti sui ricercatori italiani all’estero. Avanza sempre più l’idea che i movimenti migratori che interessano l’Italia non possono essere analizzati concentrandosi quasi esclusivamente sulla presenza straniera nel Paese. La comunità scientifica viene investita dalla necessità di avviare l’attività di ricerca al livello delle più ampie problematiche in cui si collocano oggi i fenomeni migratori nel loro complesso. Lo stato di avanzamento degli studi e ricerche sui movimenti migratori che interessano l’Italia si arricchisce mettendo a nudo alcuni aspetti fino ad allora piuttosto trascurati. Nel 2014 la Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie in uno studio che tiene conto del ruolo giocato delle categorie dello spazio e del tempo nella nuova migrazione (FILEF, 2014) rilevava – tra le prime – la necessità di una riflessione politica sui movimenti di ripresa tanto degli espatri quanto delle migrazioni interne. In particolare, si evidenziava la necessità di non sottovalutare l’importanza di quest’ultime. Sul piano teorico il loro studio favorisce anche una migliore comprensione dei concetti utilizzati per analizzare le dinamiche migratorie italiane nel loro insieme (Panichella e Ballarino, 2015, p. 1106). Dal punto di vista quantitativo, le analisi dei dati relativi alle iscrizioni e alle cancellazioni anagrafiche 5 tra comuni italiani per trasferimento di residenza segnalano un trend in continuo aumento dall’anno Duemila. In particolare, la SVIMEZ si sofferma sul tema e, prendendo in considerazione il periodo che va dal 2002 al 2014, rileva una crescita significativa delle migrazioni interne. Secondo quando riportato nel Rapporto del 2016, in questo arco temporale risultano emigrati dal Sud verso il Centro-Nord oltre 1.627 mila meridionali, con un saldo migratorio netto di 653 mila unità. Nello stesso Rapporto si evidenzia che la maggioranza degli emigrati sono giovani (il 73% con 478 mila partenze), e che i laureati sono più di un quarto (quasi il 30%) (SVIMEZ, 2016, p. 27) 6 . Aggiornando il dato 7 si nota che dal 2002 al 2019 si contano oltre due milioni di cambi di residenza dal Mezzogiorno al resto d’Italia (2.101.853) con un saldo migratorio netto di 951.820 unità. Da un punto di vista teorico questa emorragia riporta all’attenzione il tema delle aree interne e degli squilibri territoriali, uno tra i nodi centrali delle questioni sostanziali che riguardano le dinamiche migratorie. La SVIMEZ, in particolare, propone in diversi Rapporti un focus sulle zone di esodo e prende in esame le conseguenze per il Mezzogiorno d’Italia derivanti da quello che ha definito un vero e proprio «tsunami demografico» (SVIMEZ, 2011). In questo scenario, alla luce della pervasività del fenomeno, il mondo scientifico mette a nudo gli aspetti problematici – al di là dei piagnistei meridionali – e si sofferma sugli esiti che tali movimenti possono comportare nel medio-lungo periodo per le aree depresse. Per fare un elenco, seppure parziale, la ripresa delle emigrazioni è associata: (i) ai rischi connessi all’invecchiamento della popolazione, (ii) alla riduzione delle potenzialità di crescita economica e (iii) al conseguente allargamento della forbice socioeconomica tra il Nord e il Sud del Paese (Istat, 2007; SVIMEZ, 2013). Temi, questi, che restano tuttora di grande rilevanza nel dibattito sugli squilibri delle aree interne e sulla desertificazione sociale (cfr. Nardone, Moffa et al., 2021, p. 18-24) e che, tuttavia, non sembrano avere ancora il giusto peso nell’agenda politica; prova ne sono le scelte di priorità all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In sintesi, dalle analisi e dagli studi di inizio millennio appare di nuovo il rilievo sostanziale del tema, ma trascorrerà quasi un ventennio prima che la ricerca ponga su di esso un’attenzione sistematica. Negli ultimi anni, invece, assistiamo a una fioritura di studi sulla ripresa della nostra emigrazione. Alcuni di questi si concentrano su come il fenomeno sembra aver assunto ormai un carattere di massa ancora non pienamente intercettato dagli attuali criteri di rilevazione. (…)