di Antonio Lettieri - All’apparenza la riunione del Consiglio europeo del 28-29 giugno si è conclusa sul punto delle migrazioni, che era il principale, con un nulla di fatto. In realtà, ha brutalmente rivelato il volto duro e ostile dell’Europa nei confronti del più grande dramma del nostro tempo.

L’Italia si era battuta per far passare il principio che la questione delle migrazioni non riguarda solo l’Italia, ma L’Europa. “Chi attraversa il Mediterranee, ha sostenuto Giuseppe Conte, intende entrare in Europa”. Per far passare questo principio, che sembrerebbe ovvio, ha minacciato il veto dell’Italia sulle conclusioni del Consiglio. Poi, il principio è entrato nella risoluzione finale, affermando che gli stati membri dell’UE avrebbero, su una base “volontaria”, aperto le loro porte ai migranti. La clausola della volontarietà era obbligata dal fatto che. come si sapeva in partenza, i paesi di Visegrad, sotto la guida dell’ungherese Orban, non avrebbero accettato l’ obbligo di suddivisione dei flussi migratori. Germania e Francia avevano alla fine accettato il principio del coinvolgimento dell’UE che, nei fatti, superava la minaccia del veto italiano alla risoluzione finale – veto che avrebbe aperto una crisi esistenziale nel funzionamento dell’UE. Il negoziato, per molti versi drammatico, si era concluso dopo una lunga notte, all’alba del 29 giugno, con un voto unanime, quando, nelle ore immediatamente successive, Macron, che aveva concordato col capo del governo italiano il documento finale, faceva sapere che la Francia non avrebbe accolto nessun migrante. E che sarebbe spettato ai paesi dove i migranti sbarcavano organizzare campi “chiusi”, in pratica campi di detenzione, adatti a impedirne il passaggio verso altri stati dell’Unione. Quanto alla Germania, Angela Merkel si dichiarava solo parzialmente soddisfatta, ribadendo l’obiettivo di rinviare nei paesi di primo approdo gli immigrati passati, senza esserne autorizzati, in Germania: una pretesa irragionevole accettata da Grecia e Spagna, ma respinta dall’Italia. Così il principio della “volontarietà”, concordato dall’Italia con i due principali interlocutori, si dissolveva, testimoniando non solo la dis-unione europea, ma l’inaffidabilità della sua politica o, più precisamente, della coppia franco tedesca che ne detiene il bastone di comando. In effetti, secondo la dottrina Macron, I migranti sbarcati nei porti italiani, pur avendo come obiettivo il passaggio verso altri paesi europei, dovranno essere concentrati in appositi “campi chiusi”, allestiti dall’Italia per essere, salvo casi eccezionali, rinviati nei paesi di provenienza. Rinviati dove, e come? In tre anni, sotto il governo Renzi e nella prima parte del governo Gentiloni, in Italia sono sbarcati oltre 600 mila migranti: il doppio di quanti ne erano arrivati nei dieci anni precedenti. Poi, con l’avvento di Minniti, gli sbarchi si sono ridotti. Il vecchio ministro degli interni aveva genialmente promosso accordi – necessariamente riservati, come ha tenuto a spiegare – con le organizzazioni libiche che controllano il traffico dei migranti. Le stesse organizzazioni che in uno Stato privo di un governo effettivo, da un lato fanno accordi in cambio di denaro; dall’altro controllano i campi di detenzione. Campi sulla cui natura abbiamo solenni testimonianze, come quelle diMédecins Sans Frontières riportata da Repubblica: campi nei quali la tortura è un trattamento ordinario per le ragioni più diverse con l’obiettivo di estorcere denaro alle famiglie dei paesi di origine. Gli aguzzini – secondo le testimonianze raccolte –“adoperano tubi di gomma, scariche elettriche, acido sulla pelle.. Pressoché la totalità delle donne africane, anche se sposate o madri, sono stuprate”. “ Ricordo, dice un’operatrice della missione umanitaria, sette somali adulti…con anchilosi degli arti inferiori da postura fetale obbligata, prolungata per mesi, per lo spazio limitatissimo nella prigione libica. In altre parole non era più loro possibile distendere le gambe”. La soluzione sperimentata in Libia da Minniti, con l’appoggio delle tribù e delle organizzazioni criminali, dovrebbe essere estesa agli altri paesi del Maghreb. Ma Il Marocco, l’Algeria e la Tunisia si sono rigidamente opposti. L’estrema ratio è stabilire accordi direttamente con i paesi dell’arco sub-sahariano, dai quali i migranti provengono. Accordi con la Somalia, un paese fallito? O con il Sud Sudan in preda a una feroce guerra civile? O con i ribelli islamisti che occupano il nord-est della Nigeria? Non si distingue la stupidità dalla consapevole e disumana inattuabilità delle proposte di sbarrare le vie di una fuga spesso disperata stabilendo accordi con Stati falliti o con i gruppi che conducono irrisolvibili quanto spietate guerre intestine per appropriarsi del controllo dell’esportazione dei migranti. L’aspetto grottesco è che la maggior parte dei paesi africani di provenienza dei migranti, senza tener conto del Maghreb, sono proprio quelli della vecchia Unione francese, ancora oggi direttamente o indirettamente sotto l’egemonia francese: dalla Costa d’Avorio al Senegal a quelli che si affacciano sui confini meridionali del Sahara, come il Ciad, il Niger, il Mali, e molti altri. Basta dare uno sguardo. Il Ciad è governato da un regime autoritario con alla testa dagli anni novanta Idriss Déby, forse il più longevo capo di stato del pianeta, non a caso appoggiato da una cospicua presenza dei militari francesi. Il Niger con venti milioni di abitanti è caratterizzato dal fatto di essere uno dei paesi più poveri del pianeta con un reddito medio di 1200 dollari l’anno, a parità di potere d’acquisto, con metà della popolazione in condizioni di povertà assoluta. Ricco, tuttavia, al pari del Ciad, di petrolio e altre materie prime, che meritano la vigilante protezione francese. Il Mali, un tempo sede di un grande impero con la celebre biblioteca di Timbuctù, è travagliato da una guerra civile con al centro l’esercito francese inviato da François Hollande. In quali di questi paesi dovrebbero essere inviati i migranti che cercano si sfuggire alle guerre interne e alla povertà estrema? Quando arrivano in Italia, avendo avuto la fortuna di attraversare il Sahara, la Libia e il Mediterraneo, non può stupire che il loro obiettivo sia la Francia dove è naturale cha abbiano parenti o amici. Ma la Francia blocca i migranti a Ventimiglia o a Bardonecchia. E, se si avventurano sui sentieri nevosi delle Alpi, è compito della gendarmeria catturarli e rispedirli in Italia. Le migrazioni sono un fenomeno planetario, non specificamente europeo. Si contano nel mondo oltre 60 milioni di migranti (profughi e asilanti, ndr). La popolazione africana che oggi è di un miliardo e duecento milioni di abitanti, secondo le previsioni demografiche, raddoppierà intorno alla metà del secolo. L’Unione europea è, al contrario, l’unico angolo del pianeta dove la popolazione tende inesorabilmente a diminuire. I cinquecento milioni attuali si ridurranno per l’invecchiamento della popolazione associato al basso livello delle nascite. L’Italia e la Germania hanno, insieme col Giappone, il tasso di natalità più basso al mondo. La chiusura in una fortezza è un’autocondanna a una progressiva irrilevanza in un mondo che vedrà passare il numero degli abitanti a nove miliardi dai sette attuali. L’Italia non può permanentemente accogliere 150- 200 mila migranti l’anno com’è successo fra il 2014 e il primo semestre del 2017. Ma se l’Unione europea ne accogliesse un milione l’anno si tratterebbe pur sempre dello 0,2 per cento della sua popolazione, e sarebbe ancora insufficiente a bilanciare la tendenza allo spopolamento e all’invecchiamento. Osservazioni elementari che hanno a che fare con i ritmi potenziali di crescita e con la possibilità di conservare quel tanto di sistemi di welfare, dalle pensioni alla sanità, che sopravvivono allo tsunami neoliberista dell’Unione europea. Le migrazioni sono un fenomeno che caratterizza la storia di tutti i paesi a partire dall’Italia. Cinquanta milioni di cittadini degli Stati Uniti, dell’Argentina e di altri paesi provengono da migranti di origine italiana. E, non ostante le mille miglia di muraglia che separano gli Stati Uniti dal Messico, i migranti continuano a entrare negli USA, e ora Trump, mentre l’America si rivolta, separa i genitori da rinchiudere nelle carceri del Texas, dai figli ancora bambini. Abbiamo visto Macron, appena dopo aver firmato la dichiarazione finale del Consiglio europeo, il cui punto centrale è l’apertura “volontaria” delle frontiere, affrettarsi a dichiarare che “la Francia non aprirà centri di accoglienza per i migranti poiché non è un paese di primo arrivo”. Ma nel corso dell’estate, il Mediterraneo sarà ancora, in un modo o nell’ altro, attraversato da masse di disperati. E,se si impedirà alle navi delle ONG di continuare nella loro opera di salvataggio, crescerà il numero dei morti nel Mediterraneo, mentre è possibile (e sperabile) che una parte sia tratta in salvo dalla marina militare italiana. C’è da augurarsi che l’Italia rimanga un paese aperto all’accoglienza. Ma non bisognerà dimenticare che l’Unione europea e più precisamente la coppia franco –tedesca che se ne arroga il dominio, si comporta con l’Italia come con un paese della periferia, da trattare alla stregua della Grecia. Nessuno potrà stupirsi, o fingere di stupirsi, se a ottobre, in occasione del prossimo Consiglio europeo, quando la questione migratoria si riproporrà irrisolta e probabilmente aggravata, l’Italia invece di limitarsi a minacciarlo, metterà in atto il veto sulle conclusioni del Consiglio, aprendo la crisi nell’Unione europea, rivelando che il re è nudo, e affrancata dal vecchio e umiliante servilismo, tipico dei governi italiani, contribuendo ad aprire forse anche l’unica possibilità di avviare una nuova stagione in grado di salvare l’Unione europea dalla sua pratica autodistruttiva. FONTE: http://www.eguaglianzaeliberta.it/web/