di Agostino Spataro - Al tempo della guerra che alcune grandi potenze della Nato (Francia, Inghilterra, USA, cui si accodò l'Italia) scatenarono contro Gheddafi, avvertimmo che quella guerra era rivolta, precipuamente, contro gli interessi dell'Italia in Libia e nel Mediterraneo.
Insomma, una guerra contro l'Italia vinta facilmente, facendo largo uso delle basi militari presenti in Sicilia. A distanza di alcuni anni, possiamo dire che é stata vinta la guerra ma che si rischia di perdere il dopoguerra. Infatti, il Paese nordafricano continua a essere in preda al caos politico, alle divisioni tribali, al terrorismo. Tutto ciò, mentre l'Italia si lecca le ferite derivate dalla partecipazione alla guerra (non voluta dagli italiani) e dal piano di spartizioni delle zone d'influenza che minacciano enormi e consolidati interessi italiani. In primo luogo dell' Eni. Sulla crisi libica il governo italiano ha organizzato per il 12 e 13 novembre, a Palermo, una conferenza internazionale dagli esiti incerti, se non, addirittura, controproducenti. Una iniziativa in solitario che suscita tante domande. Con chi é stata concordata? Come é stata preparata? Su quali basi e proposte condivise? Da quanto si sa, nemmeno con tutte le fazioni libiche in lotta. Perciò, non si riesce a percepire, (saranno segreti di stato?) se e quali soluzioni, efficaci e condivise, potranno essere varate per riportare la pace in Libia e nel Mediterraneo e ripristinare i rapporti di cooperazione con l'Europa, con l'Italia. Avremo un'altra passerella propagandistica? In caso affermativo, bruceremmo forse l'ultima chance dell'Italia, poiché l'eventuale fallimento dell'iniziativa aprirebbe la via all'inasprimento delle logiche spartitorie interne (non bisogna dimenticare che la Libia attuale, "unitaria" fu imposta dal fascismo colonialista!) che potrebbe ritornare "triale" e così offrire il fianco alle grandi potenze "in attesa" di spartirsi questo immenso deposito naturale di petrolio e di gas (il primo in Africa) in zone d'influenza economica e politico-militare. Speriamo bene. Ma visti i precedenti dilettantistici dei governanti italiani c'è da restare quantomeno perplessi sulla opportunità e sulla riuscita dell'iniziativa. In ogni caso, bisogna ricordare ai signori che converranno a Palermo che la Sicilia ha subito un grave danno a seguito del rovesciamento violento di regime in Libia: in termini di ulteriore militarizzazione, d'impatto dei flussi d'immigrazione irregolare, di riduzione delle attività di pesca e di lavoro qualificato colà operante, di vanificazione di tutte le piccole e medie iniziative economiche, ecc. Danni seri che dovrebbero essere adeguatamente "risarciti". La Sicilia, che nel passato ha svolto un ruolo importante nel sistema di relazioni italo-libiche, aspira a confermare tale ruolo nella nuova Libia che speriamo, prima o poi, verrà. Da tempo evidenziamo le potenzialità di cooperazione solidale e reciprocamente vantaggiosa fra la nostra Isola e la Libia e gli altri Paesi mediterranei. La Sicilia, i siciliani vogliono la pace e non la guerra a due passi di casa. Solo con la pace, sarà possibile delineare una nuova prospettiva di sviluppo e di prosperità condivisa fra tutti popoli del Mediterraneo. Bisogna modificare, ampliare la nostra prospettiva di sviluppo verso orizzonti bi-direzionali: verso l'Europa e verso i Paesi mediterranei e zone contigue. Il futuro della Sicilia, del Mezzogiorno italiano si gioca, in gran parte, nel Mediterraneo e s'intreccia con la realtà del Medio Oriente e con le grandi potenzialità dell'Africa che- si ritiene- influenzeranno sullo sviluppo mondiale di questo nuovo secolo.