ROMA – Verrà presentato il 28 ottobre alle 10.30 – in diretta streaming sui canali social – presso il Nuovo Teatro Orione di Roma il 31° Dossier Statistico Immigrazione IDOS in collaborazione con Confronti e Istituto di Studi Politici “S. Pio V”. Il tema principale riguarda ovviamente gli immigrati che, durante la pandemia,

sono diventati ancora più poveri, sfruttati ed emarginati. Eppure hanno continuato a pagare tasse e contributi, a inviare i risparmi alle famiglie rimaste all’estero, ad avviare attività in proprio. Con la loro motivazione e forza di volontà, molti stranieri insegnano agli italiani come tenere duro in un contesto sociale e lavorativo divenuto più critico. Gli effetti della pandemia hanno reso molto più precarie e difficili le condizioni sociali, economiche e lavorative di molta popolazione che vive in Italia, colpendo in maniera particolarmente dura le categorie già fragili ed emarginate, tra cui gli immigrati. Nel 2020, gli stranieri in condizioni di povertà assoluta sono arrivati a 1,5 milioni, il 29,3% dei 5 milioni complessivi che risiedono in Italia (un’incidenza circa quattro volte superiore al 7,5% rilevato tra gli italiani) e il 26,8% dei 5,6 milioni di poveri assoluti nel Paese. Tuttavia, sono rimasti maggiormente esclusi da moltissime forme di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà (assegni per famiglie indigenti, buoni mensa, bonus bebè, reddito di cittadinanza, assegnazioni di case popolari, ecc.), soprattutto per una serie di vincoli giuridici (residenze pluriennali, titoli di soggiorno di lunga durata, produzione di documenti sullo stato patrimoniale e reddituale all’estero) che ancora oggi impediscono loro un accesso paritario a questi sussidi. Nonostante un livello di povertà assoluta quattro volte più alto degli italiani, i nuclei familiari stranieri che, a marzo 2021, hanno avuto accesso al Reddito di Cittadinanza sono circa 150.000, il 14,0% degli oltre 1,1 milioni di nuclei familiari percettori, ben al di sotto della loro percentuale sul totale delle persone in povertà assoluta. Un ostacolo importante è rappresentato dal requisito anagrafico (residenza in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo). L’eliminazione di questo vincolo, evidentemente discriminatorio, determinerebbe secondo l’Alleanza contro la Povertà in Italia un significativo incremento delle famiglie beneficiarie (pari a 150mila), con un calo dell’indice di povertà di quasi 2 punti percentuali. È stato invece più ampio l’accesso al Reddito d’Emergenza, che però è stata una misura una tantum per i nuclei familiari in difficoltà a causa dell’emergenza Covid-19 e che richiedeva semplicemente la residenza in Italia al momento della richiesta. Ne hanno usufruito, a marzo 2021, 425.000 nuclei familiari, dei quali il 22,0% con componenti non comunitari: percentuale più alta che tra i beneficiari di reddito di cittadinanza, ma sempre inferiore a quella degli stranieri tra i poveri assoluti. Nel frattempo, si è cronicizzato il modello lavorativo che da decenni li tiene ai margini del mercato occupazionale, inchiodati ai lavori meno qualificati, più precari, meno retribuiti, più pesanti e spesso anche più rischiosi per la salute, in cui vengono impiegati poco e male: rispetto ai lavoratori italiani, sono più “sovra-istruiti”, cioè svolgono mansioni di livello più basso rispetto ai titoli di formazione posseduti (lo è il 33,9% a fronte del 24,3% tra gli italiani), più sottoccupati, cioè impiegati per meno ore di quante sarebbero disposti a lavorare (nel 13,7% dei casi rispetto all’8,7% degli italiani) e hanno retribuzioni medie mensili inferiori di un quarto (1.083 euro contro 1.418 degli italiani). Eppure, come riporta il Dossier Statistico Immigrazione 2021, in un contesto in cui più dei nativi hanno perduto il lavoro (-159.000) e spesso hanno cessato di cercarlo (il loro tasso di inattività è aumentato del 16,2% e ha quasi raggiunto quello degli italiani), gli immigrati hanno dimostrato una grande capacità di resistenza e determinazione per reagire positivamente a questa fase critica. Non solo continuano ad assicurare all’erario pubblico importanti entrate finanziarie in tasse, contributi e costose imposte sulle pratiche burocratiche legate ai permessi di soggiorno e alle acquisizioni di cittadinanza (29,25 miliardi di euro, ancora una volta più di quanto lo Stato spende per loro in servizi e prestazioni), ma con i loro risparmi sostengono le famiglie rimaste all’estero con un flusso di rimesse (6,7 miliardi di euro nel 2020) persino aumentato nonostante la crisi (era di 6 miliardi nel 2019). Inoltre, pur di continuare a mantenere se stessi e la propria famiglia anche quando perdono il lavoro, gli stranieri più spesso degli italiani tentano la via del lavoro in proprio, aprendo un’attività autonoma (+2,5% nel 2020, in linea con una crescita ininterrotta almeno dal 2011). Infine, nell’anno in cui l’Italia ha registrato il numero più basso di nati dall’Unità d’Italia (404.000) e un numero di morti paragonabile a quello del Dopoguerra (746.000), sebbene anche gli stranieri abbiano conosciuto un calo di nascite (-5,6%) e un aumento di decessi (+25,5%), hanno comunque contribuito per il 14,7% alle nuove nascite del Paese, attutendone in parte il cronico declino demografico. Gli immigrati, anche nell’anno durissimo del Covid e in condizioni più penalizzate, dimostrano insomma una capacità di tenuta e di resistenza dalla quale ci sarebbe spesso da imparare. (Inform)