In un Paese travolto dalla crisi economica, la destra radicalizzata di Javier Milei, uno stravagante economista prestato alla politica, potrebbe rivelare sorprese alle elezioni presidenziali di Pablo Stefanoni Di Embajada de Estados Unidos en Argentina – https://twitter.com/USAmbassadorARG/status/1706800650984558726, Pubblico dominio,
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=138164302 L’ascesa elettorale del libertarista di destra Javier Milei sta provocando un terremoto nella politica argentina. Quest’uomo, che si definisce “anarco-capitalista”, fino a poco tempo fa era un personaggio stravagante invitato in programmi televisivi. Ma nel 2021 è riuscito a entrare in Parlamento e, dopo le elezioni primarie dello scorso agosto, che in Argentina funzionano come una sorta di anteprima del primo turno, si è trasformato in un candidato con buone possibilità di vincere le elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 22 ottobre. Con quasi il 30% dei voti, Milei si è lasciato alle spalle Patricia Bullrich, candidata della coalizione di centrodestra Juntos por el Cambio (JxC), che con una posizione radicale ha cercato di catturare l’anticonformismo sociale con un discorso di “mano dura” nella sicurezza e di liberalizzazione dell’economia. Ma Milei si è imposto anche su un peronismo che ha come candidato l’attuale ministro dell’Economia, Sergio Massa, un centrista pragmatico, alleato di Cristina Fernández Kirchner, che deve fare i conti con un’inflazione che a settembre ha superato il 120% annuo. Ma chi è Milei, questo economista di 52 anni con l’aria da rockstar che si è trovato improvvisamente alle porte della Casa Rosada? Economista neoclassico, professore di microeconomia e consulente aziendale, ma già allora un personaggio piuttosto eccentrico, intorno al 2013, dopo aver letto l’americano Murray Rothbard, ha avuto una sorta di conversione alle versioni più radicali della scuola austriaca di economia. Una “scoperta” che lo ha portato a predicare la nuova verità e, con un’ampia presenza nei talk show televisivi e un crescente seguito su internet, ha iniziato ad attrarre molti giovani post-adolescenti abbagliati da una forma di liberismo molto diversa da quella dei vecchi liberal-conservatori argentini. Nelle piazze, in uno spettacolo teatrale, nei tour di presentazione dei suoi libri e in video su YouTube, Milei ha iniziato a difendere un tipo di capitalismo eroico come quello che si può trovare nei romanzi della filosofa russo-americana Ayn Rand (si veda ad esempio La rivolta di Atlante) e, soprattutto, a brandire un discorso anti-progressista che si collegava al clima globale dell’emergere di destre estreme e radicali. Milei si è dichiarato fan di Donald Trump, arrivando a ribadire che ci sono stati brogli negli Stati Uniti, si è allineato con il brasiliano Jair Bolsonaro e ha partecipato ai raduni di Vox in Spagna. Ha inoltre incorporato discorsi dell’alt-right, denunciando gli allarmi sul cambiamento climatico come “menzogna socialista”. “Viva la libertà, cazzo” è un suo slogan: ma se parla molto di libertà, non parla mai di democrazia. Alla fine la sua visione è compatibile con quella dei libertaristi americani delusi dalla democrazia, che considerano un sistema decadente, suscettibile alla demagogia dei politici. Dopo aver deciso nel 2021 di passare dalla “battaglia culturale” alla “battaglia elettorale” – sono parole sue –, ha incorporato quello che sarebbe stato l’asse del suo discorso: il rifiuto della “casta politica” e la proposta di chiudere – “far saltare in aria con la dinamite” – la Banca centrale e di “dollarizzare” l’economia. In un Paese travolto dalla crisi economica e dalla sensazione che sia il peronismo sia il centrodestra hanno fallito, Milei ha proposto un discorso che individuava i responsabili di tutti i mali: i politici. “La casta ha paura…”, scandiscono i suoi sostenitori nei comizi elettorali. “Li cacceremo a calci in culo”, ripete l’economista col giaccone di pelle e i capelli arruffati. Il discorso di Milei è nuovo per il radicalismo che esprime e per il fatto che non nasconde le proprie posizioni ideologiche, le più estreme. Dice che la giustizia sociale “è un’aberrazione” perché si basa sul “furto” dello Stato attraverso la tassazione; fa campagna elettorale brandendo una motosega, come simbolo del suo desiderio di ridurre lo Stato; e arriva a dire che preferirebbe un mercato degli organi umani all’attuale sistema di donazione regolato dallo Stato. Ha persino attaccato papa Francesco per le sue presunte posizioni filo-socialiste in quanto sarebbe il “rappresentante del Maligno” sulla terra.
IL DISCORSO DI MILEI È NUOVO PER IL RADICALISMO CHE ESPRIME E PER IL FATTO CHE NON NASCONDE LE PROPRIE POSIZIONI IDEOLOGICHE, LE PIÙ ESTREME
Milei è riuscito ad attrarre i voti della classe media e dei ceti sociali inferiori, mentre gran parte della comunità imprenditoriale teme un futuro governo di carattere radicale e politicamente non strutturato. Il suo discorso si collega a una certa “economia morale” dei settori informali, che si considerano imprenditori e self-made men, che mantengono un rapporto ambiguo di amore/odio con lo Stato, ma anche con i giovani lavoratori di piattaforme come Rappi, Uber o Glovo. Molti dei suoi potenziali elettori sostengono di non essere d’accordo con le sue visioni più radicali, legate alla sua idea di capitalismo senza Stato, ma che lo voteranno comunque perché vogliono il cambiamento. Senza un vero partito, senza un governatore o un sindaco e con un gruppo parlamentare che non supererà il 30% del Parlamento, politici, imprenditori e analisti si interrogano sulla futura governabilità in caso di vittoria di Milei. Soprattutto in un Paese come l’Argentina, dove i sindacati sono ancora forti e la società ha una lunga tradizione di proteste di piazza. Il discorso libertarista di Milei rappresenta un’importazione sui generis del cosiddetto paleolibertarismo americano, teorizzato da Rothbard, che proponeva un’alleanza tra libertaristi e la “vecchia destra” anti-New Deal per combattere lo Stato federale. In Argentina, questo libertarismo di estrema destra è inserito in una tradizione politica molto diversa, è una sorta di “idea fuori luogo”, ma è servito a Milei per mettere insieme una coalizione di destra radicalizzata. La sua candidata vicepresidente, Victoria Villarruel, proviene da una famiglia di militari ed è un’attivista per la “memoria completa”. Questa avvocata di 48 anni, assai efficace nei dibattiti pubblici, denuncia che le vittime della guerriglia degli anni Settanta sono state dimenticate e che la politica di “memoria e giustizia” negli ultimi anni è stata sbilanciata a favore della sinistra. Così, in un’elezione che coincide con il 40° anniversario della ripresa della democrazia, tanto lei quanto Milei ricorrono a vecchi argomenti tipici dei militari, in base ai quali la repressione della dittatura era nel contesto di una “guerra” e ci sarebbero stati “eccessi”; non un piano sistematico di repressione, quindi. Il problema principale di Milei sta nel come trasformare la sua utopia di riforma sociale –si presenta come una sorta di liberazione del popolo dal potere “criminale” dello Stato e non risparmia riferimenti a Mosè – in progetto di governo. A tal fine, si appella al periodo di Carlos Menem (1989-1999), il peronista che realizzò un importante programma di riforme pro-mercato e privatizzò le principali aziende pubbliche. In assenza di quadri propri, Milei si appella a funzionari di quegli anni, che lavorano in fondazioni liberali, così come a ex funzionari del governo di Mauricio Macri o a dirigenti di aziende in cui Milei stesso ha lavorato, come Corporación América, di proprietà del magnate Eduardo Eurnekian. Uno di loro è Guillermo Francos, attuale rappresentante dell’Argentina presso la Banca interamericana di sviluppo (Bid), nominato dall’attuale amministrazione di Alberto Fernández, il suo futuro ministro degli Interni in caso di vittoria. Ma i suoi progetti più ambiziosi, come la dollarizzazione dell’economia, hanno incontrato le critiche delle stesse élite economiche.
L’ARGENTINA È UN PAESE IN CUI MAI UN OUTSIDER È DIVENTATO CAPO DELLO STATO E DEL GOVERNO
L’Argentina è un Paese in cui mai un outsider è diventato capo dello Stato e del governo. Storicamente, i presidenti provengono dai partiti tradizionali (l’Unione civica radicale o il peronismo), da nuovi partiti come quello fondato da Mauricio Macri (Proposta repubblicana), o dalle Forze Armate, prima del 1983. Ma Milei, che non ha un vero e proprio partito, è entusiasta del fatto che, in caso di vittoria, l’alleanza di centrodestra Juntos por el Cambio (JxC) si scioglierà e un settore sosterrà il suo governo. In effetti, l’economista mantiene buoni rapporti con l’ex presidente Macri. Ritiene inoltre che potrebbe coesistere con un settore del peronismo. Sia il peronismo sia JxC hanno quasi tutte le cariche di governatori e sindaci del Paese. Secondo i sondaggi, che non sono riusciti a prevedere il risultato ottenuto da Milei alle primarie di agosto, il ballottaggio più probabile a novembre sarà tra di lui e il peronista Massa. Ma in un’elezione divisa per quasi tre terzi, lo scenario è ancora aperto e potrebbe rivelarci altre sorprese, anche se nella corsa alla Casa Rosada il candidato libertarista sembra essere il cavallo con maggiori probabilità di vittoria.