Tale documento è a tempo indeterminato, si può chiedere dopo una presenza regolare nel territorio nazionale per cinque anni, e offre la possibilità ai titolari di andare a lavorare in un altro paese dell'Unione Europea. Nel disegno di decreto legislativo il governo, rispettando i criteri di delega, ha limitato i requisiti per ottenere il permesso per lungo soggiornanti a quelli reddituali. A differenza degli altri cittadini stranieri i beneficiari di protezione internazionale non dovranno quindi dimostrare di avere un livello di conoscenza linguistica almeno a un livello A2 e, nel caso la richiesta riguardi tutta la famiglia, non devono documentare la disponibilità di un alloggio idoneo. Relativamente ai requisiti reddituali il decreto tiene conto delle particolari condizioni di vulnerabilità in cui può versare un beneficiario di protezione internazionale, facendo concorrere alla determinazione del reddito, per una misura massima del 10%, la disponibilità di un alloggio concesso a titolo gratuito da un ente assistenziale, pubblico o privato riconosciuto. Al fine della determinazione dei cinque anni di soggiorno si tiene conto della data di domanda di protezione internazionale. Sul permesso Ue rilasciato dovrà essere annotato che al titolare è stata riconosciuta la protezione internazionale in Italia. La possibilità di espulsione rimane circoscritta a motivi legati all’ordine e sicurezza pubblica e alla sicurezza dello Stato, fermo restando il principio di non refoulement che vieta l’espulsione verso uno Stato in cui la persona può essere oggetto di persecuzione. Se espulso da un’altro Stato membro il cittadino straniero può essere riammesso in Italia. Nella relazione del governo viene sottolineato il fatto che è stato tenuto conto delle proposte fatte dall’Unhcr, che trovano riscontro in specifiche disposizioni del provvedimento. Una volta terminate gli esami nelle apposite Commissioni il Decreto legislativo potrà essere approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministeri e poi firmato dal Capo dello Stato. La Direttiva 2011/52/UE doveva essere recepita in realtà entro il 20 maggio 2013. Per questo motivo la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione.