Daiano Cristini/Sintesi/Sipa Mentre i trattori bloccano Bruxelles contro il Green Deal, in Italia le ragioni sono diverse: l’aumento delle materie prime e una distribuzione che fagocita i guadagni

Patrizia Pallara 2 febbraio 2024  agricoltori protesta La protesta degli agricoltori è arrivata a Bruxelles: un migliaio di trattori ha bloccato le strade della capitale, è approdato davanti ai palazzi del potere europeo per chiedere soluzioni concrete, creando momenti di tensione, con roghi,

lancio di bottiglie e uova, abbattimento di una scultura storica. Dopo le mobilitazioni in Francia, Germania, Polonia, Romania, Belgio, Italia e Spagna, la Commissione aveva provato a contenere il malcontento facendo concessioni su due delle principali rivendicazioni, che mettono sotto accusa la nuova Pac, la politica agricola comunitaria: una deroga agli obblighi di messa a riposo dei terreni per il 2024 e un meccanismo per limitare le importazioni dall’Ucraina. Ma le deroghe non sono bastate a spegnere la miccia. E così la presidente della Commissione Ursula Von Der Layen ha aperto ulteriormente, promettendo la riduzione degli oneri amministrativi e maggiori garanzie per chi coltiva e alleva nell’Unione.

MISURE SPOT, MISURE INUTILI

“L’Europa e gli Stati che ne sono membri, Italia compresa, non possono affrontare i problemi dell’agricoltura sull’onda delle proteste e degli umori dei contadini – afferma Giuseppe Carotenuto, presidente di Alpaa, associazione che rappresenta gli addetti e i produttori del settore -. Bisogna prendere in esame e risolvere le vere questioni, che sono più radicali dei palliativi che la Commissione ha proposto. Se si decide sull’onda degli umori, senza tenere conto della programmazione reale, si finisce per scontentare alcuni per accontentare altri. Tenendo ben presente che le motivazioni alla base delle proteste degli agricoltori italiani sono ben diverse da quelle degli altri Paesi”.

AGRICOLTORI CONTRO IL GREEN DEAL

Misure spot a parte, ogni agricoltura ha le sue specificità. Nel resto d’Europa si protesta contro il Green Deal, una serie di misure in via di definizione volte a rendere più sostenibili e meno dannose per l’ambiente la produzione di energia (ridurre del 55 per cento entro il 2030 le emissioni nette e ad azzerarle entro il 2050) e quella agricola, riconvertendo un quarto dei terreni a biologico entro il 2030. “Sulla transizione ecologica non si può tornare indietro, il Green Deal europeo non può essere messo in discussione – prosegue Carotenuto -. Non dobbiamo abbandonare la politica Farm to Fork, contrastare le misure per diminuire l’impatto delle produzioni, o non puntare sulla qualità del prodotto. In una parola, non possiamo permetterci di distruggere il Pianeta. Il vero punto, che poi è alla base delle rivendicazioni degli agricoltori tedeschi e francesi, è chi paga il prezzo di questa transizione. In Italia il centro della questione è un altro: i costi”.

L’AUMENTO DEI COSTI

I costi delle materie prime, che in agricoltura vanno dai concimi ai materiali per costruire le serre, e dell’energia, gasolio ed elettricità, la cui ricaduta si riverbera su tutto il resto, sono aumentati con la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente e adesso la crisi del Mar Rosso. “Quello che prima costava 10 oggi costa 15, o anche di più, a seconda del tipo di produzione – prosegue il presidente di Alpaa -. E anche se c’è stato un nuovo sistema di calcolo dei contributi alle aziende per gli interventi a tutela dell’ambiente, con premi a quelle più virtuose, questa premialità è stata vanificata dagli aumenti generalizzati”.

FILIERA INGORDA

Non basta. Gli agricoltori italiani lamentano una stortura del sistema, denunciata da anni: la filiera, che gonfia a dismisura il prezzo di vendita al consumatore finale, schiacciando verso il basso quello all’origine. All’agricoltore il prodotto viene pagato pochissimo rispetto a quanto poi viene venduto nei supermercati. “E questo non è un problema che riguarda l’Europa, ma il nostro governo – conclude Carotenuto -. Oggi i contadini italiani guadagnano molto meno e sono scesi in piazza per questo. Il rischio è che si alzino i prezzi al consumatore finale o anche che per abbassarli la distribuzione importi dal Nord Africa. Se le difficoltà economiche sono addossate alle aziende, l’Europa deve intervenire. E anche l’Italia deve fare azioni per tutelare le nostre specificità, le nostre piccole e medie imprese che non riescono a competere con il mercato, tutelano l’ambiente e la biodiversità e fanno un prodotto di qualità che nella filiera perde di valore”. (FONTE: Collettiva)