Il 13 dicembre ricorre la festa in onore della Santa patrona della città di Siracusa, dei ciechi, degli oculisti, degli elettricisti, invocata contro le malattie degli occhi e le carestie.
La storia di Lucia è davvero straordinaria: una ragazza cristiana, di famiglia benestante, nata a Siracusa intorno all’anno 281, fidanzata con un giovane concittadino. Orfana di padre, era molto affezionata alla madre Eutichia, che la educò ad una autentica fede cristiana. Durante un pellegrinaggio sulla tomba di Sant’Agata per implorare la guarigione della madre, in uno stato di estasi, le apparve la Santa Catanese, che le profetizzò il martirio chiedendole di dedicare la propria vita ai più poveri, ai piccoli emarginati e sofferenti. Sarà per Siracusa ciò che lei è per Catania, morirà dunque martire. Tornata a Siracusa mise in atto questo progetto, Il fidanzato abbandonato la denunciò al prefetto Pascasio: Lucia fu così arrestata con l’accusa di essere cristiana. Era il periodo in cui Diocleziano aveva scatenato l’ultima e più cruenta persecuzione contro i cristiani in tutto l’Impero Romano. Durante il processo Lucia fu invitata ad abiurare la fede con lusinghe, minacce e torture, ma lei rimase irremovibile nella sua fede. La condanna a morte fu quindi inevitabile e Lucia venne decapitata il 13 dicembre 304. Un altro particolare interessante riguarda le torture subite durante il martirio, tra le altre, la condanna al postribolo e il presunto accecamento. Entrambe si concludono positivamente: non riescono a portala al postribolo perché diviene come “una colonna immobile” non spostandosi neanche quando attaccata a diverse pariglie di buoi e gli occhi ricrescono miracolosamente ed ancor più belli. Prima di morire profetizzò l’imminente caduta di Diocleziano e la pace per i cristiani in tutto l’impero. Santa Lucia fu sepolta a Siracusa nelle catacombe, dove rimase fino al 1039 che ancor oggi portano il suo nome e venne da subito venerata dai suoi concittadini quale patrona; sulla sua tomba venne edificata una chiesa, meta di numerosi pellegrinaggi. La diffusione del culto ebbe così definitivo impulso e raggiunse ogni paese d’Europa, sia di oriente che di occidente. Il nome Lucia, dalla radice latina lux, lucis, la donna che porta il dono della luce, segno e promessa di luce spirituale durante quella che è considerata la notte più lunga dell’anno: per questo Santa Lucia è la Patrona dei ciechi e degli oculisti, invocata per la protezione della vista e nelle malattie degli occhi. Viene raffigurata con in mano un piatto sul quale riposano gli occhi o con il giglio, la palma, il libro del Vangelo. Una leggenda un poco truculenta racconta che, al processo, il giudice domanda alla Santa il motivo del suo comportamento: perché rinunciare alle cose terrene, perchè rifiutare la proposta del giovane? Lucia rispose con una domanda: "Ma infine, che trova di bello in me quell'uomo?". Il giudice: "Egli è stato colpito dalla luce dei tuoi occhi splendenti". Lucia, per tutta risposta, si tolse gli occhi con le proprie mani senza mostrare dolore, li pose su un piatto e disse: "Va e portali a colui che li ama tanto".
L’emblema degli occhi sul piatto è motivato dalla devozione popolare che l’ha sempre invocata protettrice della vista a motivo del suo nome. Il riferimento agli occhi è dovuto alle leggende sull’accecamento della Santa e la guarigione miracolosa che ne seguì e la vista è potenziata nel suo culto a tal punto che vedere lo scapolare di Santa Lucia poteva guarire da diverse malattie. Il sentimento comune che vuole che Santa Lucia aiuti la vista è confermato dal Pitrè che scrive che “serba sani gli occhi dei suoi devoti”, che rinunciano a mangiare pane e pasta il 13 dicembre.
A lei si deve la fine della terribile carestia che aveva colpito la città a metà del XVII secolo. Tradizione vuole che il 13 dicembre 1646, nel giorno di commemorazione della santa, una nave carica di frumento e altri cereali sbarcò al porto di Palermo (una leggenda analoga racconta che lo sbarco avvenne a Siracusa nel mese di maggio, da qui la festa di Santa Lucia delle quaglie) attuando il miracolo che i cittadini avevano tanto atteso. I palermitani da diversi mesi in carestia, non molirono il grano per farne farina, ma lo bollirono, per sfamarsi in minor tempo, aggiungendogli soltanto un filo d’olio, creando così la "cuccìa". Da quella volta i palermitani specialmente in ambito popolare, ogni anno per devozione ricordano solennemente l’evento, rigorosamente ricorrono all’astensione per l’intera giornata dal consumare farinacei, sia pane che pasta.
All’occasione quasi tutti i panifici della città rimangono chiusi e, a predominare sul territorio rimangono le numerose friggitorie sia quelle stabili che quelle ambulanti che vendono “panelle di ceci” e di “crocchè”. In questo giorno per Santa Lucia “si cuccìa” (3.a persona singolare di “cucciàri” derivato da “còcciu” cosa piccola, chicco). Anticamente, però, la devozione alla Santa si manifestava esclusivamente mangiando la cuccia nella sua versione salata: il frumento veniva cotto con il sale e vi si aggiungevano i ceci, condendo con ricotta salata grattugiata e olio e distribuita per tradizione a familiari, amici e vicini di casa
La cuccìa è dunque un piatto denso di storia: fatto di semi non macinati e non contabili singolarmente, sembra indicare proprio la prosperità e l’abbondanza. Il fatto che in alcuni paesi si sia dolcificata la cuccìa (con mosto, vino cotto, zuccata, cioccolato, creme, ricotta dolce o altro) non fa venir meno il valore simbolico che le attribuiamo, anzi lo potenzia. Il dolce infatti è da sempre al centro dei cibi che prospettano benessere essendo espressione massima dell’abbondanza.
. Ingredienti per la Cuccìa – versione agrigentina – due/tre porzioni:- 200 gr di grano integrale
- 50 gr di ceci
- 2-3 foglie di alloro
- sale integrale un pizzico
- scorza d’arancia
- vincotto
a piacere
- granella di pistacchio q.b.
- capello d’angelo (o zuccata) tagliata a piccoli cubetti
- un cubetto di cioccolato di modica grattugiato
- amarene sciroppate o candite bio
- ricotta
Preparazione della cuccìa: Il 9 dicembre sera si mette in ammollo il grano in acqua fredda e si cambia l’acqua una volta al giorno per 3 giorni. L’11 dicembre sera, si ammollano anche i ceci, separatamente dal grano. Il 12 sera si sciacquano grano e ceci e si mettono in una pentola coperti d’acqua; si aggiungono un paio di foglie di alloro e si lasciano cuocere per due/tre ore (con il modo consueto di cottura di legumi e cereali: al bollore, si abbassa la fiamma al minimo, si copre e si fa sobbollire). Passato questo tempo, si spegne il fuoco, si aggiunge un pizzico di sale, la scorza di un’arancia si copre la pentola con una coperta di lana, affinché il grano ed i ceci continuino a cuocere e ad ammorbidirsi.
L’indomani si mangia la cuccìa come si vuole: la si scalda un po’ e si dolcifica con vincotto o anche ricotta e malto, cannella, cioccolato o granella di pistacchio, frutta sciroppata, capelli d’angelo o zuccata; si può mangiare tiepida o far riposare qualche ora in frigorifero a seconda dei gusti. La zuccata “ai nostri giorni viene ricavata dalla zucca gialla e dalla buccia delle angurie. Di solito è immancabile almeno un po’ di zuccata a piccolissimi cubetti.(Di Maria Cacioppo)