I PUPI DI MIMMO CUTICCHIO DAL TEATRO DI VIA BARA DELL’OLIVELLA AL QUIRINALE: IN MOSTRA I MILLE VOLTI DELL’UMANITÀ Mimmo Cuticchio: puparo per trasmissione paterna, oprante assoluto dell’Opra di disciplina palermitana, maestro nell’arte del cunto, appresa per osservazione silente da Peppino Celano puparo e cuntista, di cui Mimmo fu allievo dal 1970, in occasione della mostra antologica “L’Opera dei pupi – Una tradizione in viaggio” svoltasi dal 6 novembre fino al 3 dicembre ha portato in esposizione nelle stanze del Quirinale, il meglio di cinquant’anni di tradizione siciliana. Mostra non museografica ma antologica allestita nella Palazzina Gregoriana e accompagnata, sala per sala, dalla voce aspra o struggente, tonante o carezzevole di Cuticchio che trasforma il visitatore in spettatore. Perché, come dice Cuticchio «i pupi appesi non sono mummie egizie. Il pupo è una persona viva. Ci guardano e non parlano, ma con loro si può raccontare anche l’epica moderna, Falcone e Borsellino. L’opera dei pupi è un teatro di comunicazione, in cui il pupo è un personaggio che non muore mai. L’attore in carne e ossa interpreta, nasce e muore, il pupo, diventa tutt’al più antico, ma è sempre pronto a raccontare la sua storia. E noi, figli d’arte, che abbiamo conosciuto le regole per costruire i pupi, per farli muovere, ci aggiorniamo e entriamo nella nostra era facendo viaggiare la tradizione». In mostra i pupi della tradizione siciliana - da Orlando a Rinaldo alla Bella Angelica, fino al traditore Gano di Magonza - e tutto ciò che serve all'allestimento degli spettacoli che un tempo avvenivano nelle piazze dei paesi dell'isola. Un riconoscimento di grande prestigio per Cuticchio, orgoglioso di varcare il portone del Palazzo presidenziale. L’esposizione è un vero e proprio racconto di vita familiare e di un’antica tradizione popolare siciliana che si mostra anche attraverso le fasi di realizzazione dei Pupi, suoi più fedeli protagonisti. Sono state esposte circa 150 marionette siciliane, dai Pupi in paggio, ovvero i servitori o gli umili contadini, a quelli armati, Paladini o Saraceni, da personaggi femminili come Angelica a quelli più moderni, come Garibaldi e l’Italia. Il percorso espositivo si arricchisce di teste di legno che aiutano a comprendere le diverse fasi lavorative necessarie alla realizzazione di un Pupo e alle attività legate alla “manutenzione” di una marionetta, specie se risalente al 1800. Si entra così in un mondo se vogliamo insolito, che coinvolge, stupisce, incanta dove storia e tradizione si fondono, maestria artigianale e innovazione si mescolano perfettamente creando una macchina di sogni che incanta spettatori di qualsiasi età; un mondo lontano, epico in cui gli accesi colori delle vesti, lo scintillio delle armature, gli elmi, i pizzi fanno da sfondo a questa grande tradizione che è quella dell’ Opera dei Pupi. Il teatro delle marionette inserito dal 2001 nell’elenco dei Beni immateriali dell’umanità perché rispecchia l’identità di un paese e di un popolo, è una delle attestazioni di arte e cultura popolare che ancora sopravvive nella Sicilia contemporanea. Nato nella prima metà dell’Ottocento, si sviluppò in tutta l’Italia meridionale, ma ebbe un successo straordinario tale da assumere connotazioni di teatro popolare di massa e vero e proprio fenomeno
sociale, solo in Sicilia. Lo studioso palermitano del folclore e della cultura popolare Giuseppe Pitrè fissava la nascita dell’Opera dei Pupi nella prima metà dell’Ottocento anche se è da ricondurre al XVI secolo lo sviluppo di questa particolare forma teatrale. Altri invece reputavano che l’abilità dei pupari provenisse dalla maestria di alcuni siracusani, attivi già al tempo di Socrate e Senofonte, nel costruire e far muovere marionette. I temi rappresentati derivano dalla Chanson de Roland, racconto delle gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini, e dai grandi poemi epico-cavallereschi italiani (Orlando Furioso, Orlando Innamorato e il Morgante). I personaggi del ciclo carolingio vengono trasformati in tipi simbolici della realtà quotidiana e popolare siciliana. Le prime marionette realizzate nel Settecento si ispirano per la rappresentazione dei personaggi e la foggia delle armature alle xilografie dei poemi cavallereschi cinquecenteschi e alla stampa popolare del Seicento. Il mutamento avviene perché l’Opera dei Pupi si afferma come uno degli spettacoli popolari più apprezzati, grazie anche alla pubblicazione nel 1850 di quattro volumi dal titolo “Storia dei paladini di Francia” di Giuseppe Lodico. Nella metà dell’Ottocento si registrano innovazioni tecniche e artigianali che contribuiscono ad accrescere la spettacolarità delle rappresentazioni: le armature dei pupi, prima di cartone o di stagnola, diventano di metallo lavorato mentre non più un filo ma un’asta di ferro guida la mano destra del pupo. In questo modo la marionetta può eseguire azioni più precise come per esempio riporre la spada nel fodero, abbassare la visiera o battersi il petto. I pupi esprimono la volontà di continuare a battersi in quella che è stata definita “la più invisibile delle guerre invisibili” che, con i nostri ideali, sosteniamo dentro di noi più che fuori. Corretta l’interpretazione pirandelliana secondo la quale “siamo tutti pupi” animati dall’onnipotente Spirito divino. Si distinguono due tradizioni dell’opera: quella “palermitana” diffusa nella Sicilia occidentale, quella “catanese” diffusa nella Sicilia orientale. La prima utilizza pupi dalle dimensioni piuttosto piccole (circa 60-80 cm), animati dai lati del palcoscenico. Sono dotati di gambe snodate, che consentono loro di inginocchiarsi e, grazie a fili aggiuntivi, possono rinfoderare la spada. Il pupo catanese, viceversa, può raggiungere i 120 cm, è più rigido nei movimenti, ha la spada sempre in pugno e viene mosso dall'alto. Si tratta di una tradizione degna di rispetto quanto quella dei cantori che hanno narrato le imprese di Odisseo o di Ilo e che fortunatamente, ancora oggi viene mantenuta in vita grazie al prezioso lavoro dei “Pupari” e delle loro famiglie. (Maria Cacioppo)