Come avviene ancora oggi, anche nel lontano passato a Castelvetrano avveniva la lettura del “tistamentu di lu nannu”, con la presa in giro dei personaggi più conosciuti, sindaco in testa. Questa tradizione, sorta in piena civiltà maschilista non prevede il testamento della Nanna.

Il testamento viene redatto ancora in lingua siciliana. Forse è l’unico caso in cui si fa rivivere in pubblico quella lingua che fu gloriosa ai tempi di Federico II e successivamente madre della lingua italiana. Per suscitare l’allegria il testamento contiene parolacce “vastase”, con chiari riferimenti sessuali, con Priapo e il suo simbolo fallico in testa. In merito aggiungo un aneddoto: Il caro amico Matteo Chiaramonte nel 2005 ha scritto un testamento in endecasillabi, rispettando tutte le regole della metrica; vinta la gara il testamento fu letto per Carnevale; siccome fu scritto in maniera molto pulita, per come si addice alla sua seria personalità, il testamento fu criticato, perchè non adatto all'atmosfera carnascialesca. Alle origini il fantoccio, maschera di Carnevale era uno solo: il “Nannu” e non si bruciava. Quando nel dopoguerra si ripristinò il Carnevale, al Nannu fu dato una compagna: la Nanna. In considerazione che il fuoco è stato sempre valutato come purificatore, s’incominciò la “bruciatina”, a simboleggiare l’eliminazione del male accumulato durante il corso dell’anno e l’inizio di una nuova vita più sana. Questi fantocci, che venivano bruciati in Piazza Garibaldi erano allestiti ogni anno, e fino al 1967, da “Don Pippinu Vaiana”, di professione “apparaturi”, molto conosciuto da tutta la popolazione. Caratteristici erano i piagnistei “di li niputi di lu nannu”. Si trattava di finti lamenti emessi dai mascherati, che si rifacevano al “repitu”, lamenti a cantilena misti a pianto da parte delle “prefiche” o “reputatrici”, donne professioniste specializzate in lamenti funebri, che inneggiavano alla gloria o a fatti successi al defunto e rammarico per la sua scomparsa. La maschera del “nannu”, secondo Gianni Diecidue “costituiva il finale comico e tragico, umile e solenne, lieto e triste ironico e patetico di questo vasto, affollato, frenetico, orgiastico, reale e surreale insieme, del Carnevale”. La maschera del Nannu e la Nanna, rappresentano, in seno alla civiltà agricolo pastorale, il desiderio di una vita migliore e più sana, per cui tutti i mali accumulati durante l’anno si bruciavano. Lu nannu e la nanna erano il simbolo del male accumulato nella loro lunga vita. (Vito Marino)