Il patrimonio folcloristico culturale di Castelvetrano è ricco di numerose e caratteristiche rappresentazioni sceniche a carattere sacro. Il Ferrigno così afferma: << Così scaturiscono gli spettacoli come la nascita di Gesù Bambino, la passione di nostro Signore Gesù Cristo,
il trionfo dei martiri, le opere dei Santi, espressione del sentimento di fede e del credo religioso profondamente radicato nel nostro popolo ancora oggi. […] Siccome il genere di questi spettacoli provocavano inconvenienti di varia natura e scandali per scene indegne della Casa del Signore, i sinodi diocesani proibivano con scomuniche e minacce di carcere per i trasgressori. Tuttavia, la passione era tale che non mancavano i trasgressori. Il mistero del Calvario, rappresentato nelle Chiese ed in occasione del Venerdì Santo anche all’aperto, era uno di quegli spettacoli per il popolo in cerca di commozione>>.
LE FROTTOLE
Durante le feste principali, come la ricorrenza di San Giovanni Battista, patrono della città, per San Giuseppe, e per il SS. Crocifisso si cantavano su appositi palchetti, inni musicali, a carattere religioso in onore dei Santi. Il cerimoniale avveniva nei punti principali della città, nelle prime ore del mattino, dopo il rituale scampanio generale e gli spari augurali dei mortaretti. Di queste frottole se ne sono perdute le tracce, tuttavia il Ferrigno così scrive: <>.
RAPPRESENTAZIONE PER LA LIBERAZIONE DEL COLERA
In ricorrenza della liberazione dal colera del 1837, avvenuta secondo la credenza unanime della popolazione per intercessione di San Giovanni Battista, patrono della città, il Consiglio Civico di Castelvetrano deliberò di considerare come festa di doppio precetto il giorno commemorativo della Decollazione del Santo Patrono, chiedendone approvazione all’Autorità Ecclesiastica. La proposta di Castelvetrano fu approvata da papa Gregorio XVI, cosicché il 29 agosto di ogni anno fu dichiarato Festa di Doppio Precetto. In tale ricorrenza dal 1838 al 1848 venne rappresentata la liberazione dal colera con un’opera teatrale, avente la seguente trama: <>. Con la rivoluzione del 1848 detto spettacolo, come pure la Fiera di San Giacomo, cessarono.
LA RAPPRESENTAZIONE DELL’AURORA
In Sicilia, dal 1500 al 1600, la morte di Cristo, fu rappresentata ed esaltata con varie funzioni religiose di origine spagnola. Queste rappresentazioni continuarono nel tempo fino ai nostri giorni. A Castelvetrano in occasione della ricorrenza di Pasqua, si svolge il rito religioso della “Rora“ o “Arora” (l’Aurora). Un rito che risale al 1660 per iniziativa dei Padri Carmelitani Scalzi di Santa Teresa. La funzione, oggi affidata alla confraternita di San Giuseppe dei falegnami e bottai, si è sempre svolta “a lu chianu” (alla piazza principale del paese) cioè in piazza Garibaldi, (oggi Piazza Carlo D’Aragona). La rappresentazione una volta ogni sette anni aveva luogo nella Via S. Gandolfo (poi Via del Monastero o strata di la Batia granni - oggi Via Ruggero Settimo), per permettere alle suore di clausura di assistere alla manifestazione da dietro le grate del monastero della SS. Annunziata. La manifestazione dell’Aurora avviene, ancora oggi, tutti gli anni anche con condizioni di tempo proibitive; si è svolta anche durante la guerra e nell’anno del terremoto del 1968. Pertanto, voce di popolo dice: “Se non si fa, se la prende Trapani”. Cito qui di seguito una notizia storica che ci riferisce il Ferrigno: <>. In maniera molto riassuntiva la manifestazione si svolge in questo modo: La statua rappresentante il Cristo risorto viene collocata davanti la chiesa Madre, mentre, quella della Madonna avvolta nel manto nero, viene posta davanti l’ingresso della via Pantaleo. Un Angelo portato a spalla va dall’una all’altra statua annunziando la Resurrezione. La Madonna, dapprima incredula, al terzo viaggio dell’Angelo corre verso il Figliuolo, che si muove pure, fin quando avviene l’incontro festoso fra madre e figlio con il giubilo generale della folla.
LA RICORRENZA DELL’EPIFANIA
In occasione della ricorrenza dell’Epifania avveniva una caratteristica rappresentazione cantata, con accompagnamento musicale, che aveva come oggetto “La visita dei tre Magi alla grotta di Betlem” ed il loro atto di adorazione al Salvatore del mondo con le offerte di oro, incenso e mirra. Lo spettacolo, che si rinnovava ogni anno nella Chiesa conventuale dei Padri Domenicani (S. Domenico), con i personaggi vestiti in costumi antichi dell’epoca attirava tante persone, che assiepavano la chiesa. A causa della soppressione delle corporazioni religiose, nel 1866 lo spettacolo non avvenne più. L’Epifania, una volta era una festività prettamente religiosa. Il popolo siciliano la denominava “la festa di li tri re”, che il sei gennaio chiudeva tutta la festività e l’atmosfera natalizia; oggi è chiamata “della befana”, cioè del consumismo e dei regali, una cultura non nostra proveniente dal Nord. In chiesa, oltre al normale festeggiamento liturgico dell’Epifania, dopo la santa messa, a scopo umanitario si celebrava la “Vistizioni di lu Bomminu”. In sacrestia un bambino povero veniva denudato delle proprie povere vesti e, sebbene il freddo fosse molto sensibile, veniva ricoperto solo da una benda e, postagli sulla spalla una piccola croce, veniva presentato al pubblico radunato in chiesa, dove, dopo il lavaggio dei piedi avveniva la vestizione, con gli abiti ricevuti in dono. Al termine il bambino veniva portato, in processione, alla propria casa, con altri regali.
LA NINNAREDDA
In Sicilia, fino al 1950 circa, in occasione del Santo Natale, la ricorrenza univa la religiosità alla tradizione popolare, fatta di presepe, “cosi duci” e canti natalizi. In chiesa, in occasione della “Novena di Natale”, che durava nove giorni: dal 16 al 24 dicembre, dopo la prima messa delle 4,30, che il popolo chiamava “la missa di lu addu” (quindi di notte) si cantavano dei brani tutti in lingua siciliana, intonati da un coro all'unisono, con l'accompagnamento di violino, mandolino o chitarra; ma. per la nostra proverbiale apatia, e per come è successo per moltissime altre nostre tradizioni, dopo gli anni ’50, cadde in disuso. La parola "Ninnaredda" deriva da "Ninna nanna", nenia che ogni mamma cantava giornalmente alla propria creatura, per farla addormentare; nella festività natalizia, la ninna nanna si riferiva al neonato Gesù. Ma alcuni brani riguardavano la Sua nascita, altri la Sacra Famiglia, ricordata dalla tradizione popolare siciliana come una normale famiglia terrena, con i suoi problemi quotidiani di fame, freddo, lavoro e amore familiare. Ascoltando questi brani, in alcuni si percepiscono dei ritmi, che sanno d’orientale. Anche in questo campo sicuramente l’influenza della dominazione araba, in Sicilia ha lasciato la sua impronta. Per festeggiare la ricorrenza natalizia, c'era anche “lu ninnariddaru”, cioè il suonatore di violino o di “ciarameddi” (cornamuse) in coppia o meno con il suonatore di flauto (friscalettu o faraùtu). Questo personaggio, molto ricercato e apprezzato in quegli anni, “a li sett’arbi” (di mattino prestissimo ancora al buio), girava per le strade suonando i motivi musicali di queste nenie. Nelle strade silenziose di allora, le note echeggiavano e si diffondevano nell'aria creando un'atmosfera di festa. Chi era interessato lo invitava a suonare in casa davanti al presepe; poteva trattarsi di una suonata occasionale o per tutta la novena. Al suonatore si dava un piccolo compenso, a volte in natura, come: "Li cosi duci di Natali” fatti in casa. (Vito Marino) NOTA: Le foto del portale sono prese in gran parte da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, basterà segnalarlo alla redazione che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.