Vito Marino continua a presentarci pezzi di tradizione del passato, che ben rappresentano la vita, il costume il modo di confrontarsi con le difficoltà che la vita presentava all’epoca. Credenze e attrezzature casalinghe, erano alla base della vita comune ma anche dei comportamenti e delle usanze.

Oggi il nostro Vito, ci parla di un attrezzo indispensabile nelle famiglie: “la pignata” allora rigorosamente di creta e la “taddarita” un animale che faceva schifo e paura, ma che spesso i ragazzi disturbavano per il piacere di vederli volare. Vediamo cosa ci offre oggi Vito. (SA)

LA PIGNATA DI CRITA

L’argilla è la materia prima di cui l’uomo può disporre in maniera abbondante e gratuita; la sua lavorazione risale ai primi albori della civiltà. “Li stazzunara” erano gli abili artigiani, che lavorando l’argilla ottenevano oggetti vari di terracotta. Fra i miei ricordi velati dal tempo rivedo "stazzuna" (fabbrica di vasellami e vari) a fianco della chiesa della Badia di proprietà della famiglia Filardo, in Via Scinà della famiglia Gino, c'era poi la famiglia Giancontieri, che continua ancora l'attività e le famiglie Giglio e Leone, stazzunara di cui ho sentito parlare. Per cucinare si “tianu cazzalora e pignata”, tutti in terracotta e “stagnati” smaltati di uno smalto speciale all’interno. La “pignata” era la pentola più grande e si utilizzava per la cottura della pasta e delle verdure. “lu tianu serviva per le cotture dei legumi e di altri condimenti. La “cazzalora” era più bassa e aveva il manico e si usava per condimenti di poca quantità. Quando questi recipienti diventavano vecchie e perdevano lo smalto o si “ciaccavanu” subivano lesioni, si usavano per scaldini con la carbonella accesa per riscaldare durante l’inverno. I tegamini fuori uso servivano anche per tostare il caffè “atturraturi”, che allora si vendeva ancora verde; quando erano completamente inservibili, si riempivano di terra e si usavano come vasi per fiori. Durante le feste paesane i tegamini servivano per far divertire la popolazione con “lu iocu di li pignatedda”.

LA TADDARITA (IL PIPISTRELLO)

I ragazzi dei vecchi tempi (mi riferisco fino agli anni 50 – 55), nelle ore libere dagli impegni scolastici o “di lu mastru” (lavoro di apprendista), passavano il loro tempo libero a giocare in maniera collettiva per la strada o nei cortili. Quando non c’era il numero e la voglia di giocare a gruppi, si stava lo stesso in movimento; così si disturbavano “li taddariti” (i pipistrelli), si acchiappavano e si impiccavano le lucertole con un nodo scorsoio, si cercavano nidi per prendere gli uccellini, si giocava a “paru e sparu” (pari e dispari), a fare “cazzicatummuli” (capriole), “a cu arriva prima” (fare una gara di corsa). Quando le condizioni atmosferiche non lo permettevano, raccontavano "cuntura" (novelle), recitavano filastrocche, parlavano di spiriti e di “attruvatura” (scoperta di tesori nascosti) o giocavano ad “abbisari” (azzeccare indovinelli). Fra i ragazzi c'era diffusa la convinzione che il pipistrello si poteva catturare semplicemente toccandolo con una lunga canna. Inoltre, recitando la seguente filastrocca, c’era la convinzione che il pipistrello veniva attratto dalla canna come un incantesimo: Taddarita canna canna lu dimoniu t’incarna e t’incarna pi li peri, taddarita, veni veni. E t’incarna pi la cura Taddarita veni allura.. Quando per caso si riusciva ad acchiapparne uno, colpendolo con la canna, si buttava vivo nel fuoco purificatore, perché esso rappresentava il demonio. Una volta ho assistito anch’io ad uno di questi macabri riti. VITO MARINO

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