Continua la serie di utenzeria e oggettistica che ci ricollega alla civiltà contadina che era quella che imperava negli anni passati, prima del boom economico, quando le campagne erano vissute e la terra curata in tutte le sue partri.

A seguito di questa attenta ed assidua cura, era normale che non mancassero i frutti. Oggi, fortunatamente si registra un ritorno alla terra, ma con mezzi moderni che hanno la missione di ridurre la fatica ed aumentare i guadagni. Ma vediamo che cosa ci propone Vito marino (Foto in alto)

LU MUSCALURU E LU ATTALORU: -Costruito con palma nana intrecciata, “lu muscaloru” (da musca = mosca), un ventaglio rustico rotondo, con il manico, serviva per cacciare le mosche noiose, che durante la civiltà contadina, a causa delle cattive condizioni igieniche, proliferavano abbondantemente. Quando si doveva accendere il fuoco a legna o principalmente a carbone, per attizzare la fiamma, invece di soffiarvi con la bocca utilissimo era l’utilizzo del muscaluru. Nei palazzi dei benestanti il portone ingentiliva ulteriormente tutto l’edificio. Alto, dalla sommità a sesto arcuato o poligonale, il portone era sormontato dal “muscaluru” (il rosto), che serviva, oltre che per ornamento, per dare luce all’ingresso senza dare possibilità a chiunque di entrare. Costruito dal fabbro, aveva la forma di ventaglio, che, al centro della base, sempre in ferro battuto, c’erano inseriti le iniziali del nome e cognome del proprietario. Quindi era chiamato “muscaloru” per la forma che rassomigliava al ventaglio. A proposito di muscaluru o ventaglio che dir si voglia c’è un aneddoto prettamente siciliano che voglio riportare. Si dice che la donna manda sempre, anche inconsciamente, dei messaggi verso l’uomo, che deve saperli interpretare e tradurli in parole. Così, attraverso il modo di usare il ventaglio si può stabilire se una donna è signorina, sposata o vedova. Infatti: - La signorina: lo muove molto svelto. Tradotto significa: “lu vogghiu, lu vogghiu, lu vogghiu...” - La signora: lo muove molto piano, con soddisfazione. Significa. “ci l’haiu, ci l’haiu, ci l’haiu...” - La vedova: lo muove con abbandono da una parte all’altra, come se avesse la mano snodata, rotta. Tradotto in parole significa: “l’avia e lu persi, l’avia e lu persi, l’avia e lu persi...”. -Durante la civiltà contadina quasi tutte le famiglie, in modo particolare i benestanti , tenevano nei magazzini, nei cortili e nelle stalle e “carrittarii” (locale per il carretto) animali d’allevamento da cortile, come galline e volatili vari e conigli, più il maialetto e la capra. Non mancavano gli equini da soma e da tiro. Tutti i rifiuti e gli escrementi finivano nella concimaia, che costituiva la fonte principale per il diffondersi di mosche e topi. Per combattere i topi tutte le famiglie tenevano in casa almeno un gatto. Ma la lotta era impari, i topi proliferavano lo stesso. Per favorire la circolazione dei gatti in tutte le parti della casa, e principalmente nei magazzini dei cereali e dei legumi, si praticavano dei fori rotondi nei portoni e porte interessate. Questi fori, che ancora si possono notare in vecchi portoni, si chiamavano “attalori” (da atti = gatti).

LU CAFISU: Cafisu è un nome di origine araba Qafiz o Cafiz. Si tratta di un contenitore di lamiera zincata usato negli anni passati, per il trasporto dell’olio d’oliva dal frantoio alle abitazioni. Contemporaneamente era una unità di misura tradizionale per olio d’oliva. Ma, per il trasporto dell’olio si usava anche l’otre di pelle di capra, e un barilotto di legno di circa 10 litri. Nelle abitazioni l’olio si versava nei contenitori più grandi come le giare di terracotta o negli “stagnuna” di lamiera zincata, per la conservazione per più anni. Tra i paesi arabi il cafiso si usa ancora in Libia, dove misura circa 7 litri. Una volta era usato anche a Malta, Calabria e Sicilia Generalmente ha una capacità di 16-17 litri. In particolare, nella zona etnea della Sicilia, il cafiso di olio equivale a 16 chili, giacché in questo territorio tradizionalmente l'olio viene misurato in unità di peso piuttosto che in unità di volume. A Castelvetrano un “cafisu” corrispondeva a 7 litri d’olio. Anticamente un'unità di misura omonima (detta anche cafesse) veniva usata per misurare il grano. VITO MARINO