MAZARA DEL VALLO: CITTA’ SIMBOLO DELL’INTEGRAZIONE
Mazara de vallo ha, per la storica predisposizione dei suoi abitanti a favorire l’integrazione dei popoli del Magreb (arabo al-Maghrib), un’identità definita “unica”.
* Integrazione di empatia umana che molti sociologi hanno preso quale spunto per ricerche e studi antropologici; e non pochi la additano quale esempio da formulare per il superamento di antiche, controproducenti barriere basate sulle discriminazioni razziali, religiose, linguistiche e culturali. Pur se le vie, le piazze, le porte di Mazara sono, per amor del vero, da sempre aperte ad ogni straniero, è remota e molto più massiccia è l’accoglienza degli extracomunitari che provengono dal Magreb, cioè all’Africa nord-occidentale. La comunità africana più integrata è indubbiamente quella tunisina, che ormai vanta una presenza con la seconda e anche la terza generazione. E di questi tunisini che abitano a Mazara, molti hanno avuto modo di lavorare e stringere amicizie con i mazaresi, non pochi dei quali contraendo i cosiddetti ”matrimoni misti”. Hassine, 31 anni, originario di Madhia, è uno dei tanti giovani che, dopo gli studi, hanno trovato un impiego. “Ho frequentato la scuola alberghiera e da molti anni lavoro in un ristorante della zona. Questa professione mi ha permesso di stringere tante amicizie, soprattutto con i mazaresi. Adesso – continua - passo più tempo con loro che con i miei compaesani. Grazie alla mia educazione sono riuscito a integrarmi ed ho anche una fidanzata mazarese”. La vita, a Mazara, è indissolubilmente legata alla pesca, un'arte tramandata da padre in figlio. Alla fine degli anni '60 la richiesta di manodopera nel settore della pesca attirò migliaia di disoccupati magrebini. «Anche in Tunisia molti vivono di pesca – dice un tunisino, pensionato, ex pescatore - la maggior parte degli immigrati che decenni fa arrivarono in Sicilia lavoravano in mare e quindi vennero qui a svolgere il mestiere che sapevano fare». E poi tiene a riferire la sua storia: “Ho costruito qui la mia vita ed ho visto cambiare questa città continuamente. E noi stranieri abbiamo contribuito a dargli un volto nuovo”. Questa è anche la storia di centinaia di immigrati che hanno ristrutturato le case di Mazara con le proprie risorse economiche, e che oggi convivono nel centro storico, dove, a poco a poco, cominciano a tornare anche i mazaresi che lo avevano abbandonato per vivere altrove. Ed è corretto, storicamente e culturalmente ammettere che se il Comune di Mazara ha recuperato qualche parte del centro storico ripristinando l’illuminazione pubblica, la rete fognaria e la rete idrica, facendo arrivare l’acqua corrente anche nelle abitazioni prima abbandonate, il merito è da condividere con gli immigrati. Molto caratteristico e affascinante è il progetto (ancora in corso) del primo itinerario per i vicoli di quella che sembra una vera e propria kasbah. Si parte dal cortile dell’”Inferno” per arrivare a piazza Plebiscito. Attraversando stradine, adornate con ceramiche realizzate dagli artisti locali, dove si parlano decine di lingue. E così la città si è trasformata, è diventata multietnica, in cui si cercano di superare i concetti di tolleranza ed integrazione e si parla, invece, di condivisione. In piazza Madhia, che porta questo nome in onore della cittadina tunisina gemellata con Mazara, vivono sette nazionalità diverse. Jamila vive a pochi passi dalla piazza dal 1988, ha quattro figli e suo marito fa parte dell’equipaggio di un peschereccio. I suoi vicini di casa sono cinesi e ucraini. Di fronte alla sua abitazione c’ è anche una famiglia mazarese. “Sono moto legata a queste strade – dice la donna – ogni mattina, dal momento che faccio la casalinga per badare ai miei figli, prendo scopa e paletta e comincio a pulire il vicolo. Non lo considero qualcosa che non mi appartiene. Per me è l’ingresso della mia abitazione”. A partire dal 1968 sono tunisini, algerini, marocchini che approdano a Trapani e si stanziano a Mazara dove sono arrivati i loro antenati musulmani per la conquista della Sicilia. A Mazara una comunità di circa 5000 tunisini riempie i vuoti nella pesca, nell’agricoltura, nell’edilizia, nel commercio, alcuni sono diventati artigiani di monili. Il lavoro per loro, e non solo per loro, è felicità, ma la sera volgono sempre lo sguardo oltre il mare, verso le loro terre. Rispetto ai loro padri, i giovani di seconda e terza generazione hanno maggiori possibilità di condividere spazi e situazioni con i loro coetanei siciliani. Hosny , giovane di 20 anni, è nato da un matrimonio misto. «Mio padre è arrivato all'età di 14 anni mentre mia madre è nata qui. Noi tunisini - tiene a precisare - abbiamo due anime: una araba, legata alle nostre origini e l'altra siciliana che ci fa sentire parte integrante della società in cui viviamo». Tra i mazaresi c'è chi parla dei maghrebini in termini di «arricchimento umano» come Melania, 28 anni, che ha deciso di legarsi sentimentalmente a uno di loro. (Attilio L. Vinci)
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