Il Partito Democratico si è astenuto al Senato sul federalismo fiscale, che ora arriva alla Camera, dopo aver ottenuto sostanziali modifiche migliorative alla riforma voluta dalla Lega Nord. Il Carroccio puntava a un federalismo “regione-centricoâ€, tutto settentrionalista, che in modo egoistico rischiava di separare ancor di più il Paese e di aumentare i centri di spesa.
L’opposizione ha ottenuto invece correttivi importanti, che rendono l’impianto della riforma più ragionevole, centrandola su tutte le autonomie locali, nessuna esclusa, le quali dovranno vedere loro ridistribuite le risorse fiscali a partire dall’alto verso il basso. Va infatti ricordato come il vero autonomismo e decentramento amministrativo sia stato promosso per la prima in Italia dal centrosinistra, con la riforma del titolo V della Costituzione, risalente a un decennio fa. Il Pd ha ottenuto innanzitutto, tramite un emendamento, l’istituzione del principio del “Patto di convergenza†che, grazie anche alla Commissione paritetica Stato-Regioni-Autonomie locali e alla Commissione bicamerale creata ad hoc, dovrà monitorare il coordinamento tra prelievo fiscale centrale e locale, e se occorre correggerlo. Tra le vittorie importanti, anche il non-affidamento esclusivo dell’istruzione alle Regioni e il mantenimento di competenze decentrate sul territorio, a Comuni e Province, come richiesto da molti addetti del settore. Non soddisfano invece il ritardo nel varo di una Carta delle Autonomie che dovrebbe sanare ogni eventuale conflitto tra competenze e attribuzioni, limitando sprechi e lungaggini. Come, del resto, il semi-abbandono della riforma istituzionale ispirata alla bozza Violante, che dovrebbe istituire il Senato delle autonomie locali al posto di quello attuale, mettendo fine all’inefficiente e pleonastico bicameralismo italiano. Che senso ha altrimenti fare il federalismo fiscale? Infine, mi si permetta di ricordare che puzza molto di demagogia una riforma fatta per avvantaggiare le autonomie, se poi il governo Berlusconi è lo stesso che sottrae alle Regioni 2,7 miliardi di fondi europei e che taglia l’Ici ai Comuni senza restituire loro le risorse e costringendoli spesso ad aumentare le tariffe locali, vessandoli per di più con un irrigidimento del Patto di stabilità in tempi di recessione economica.
On. Marco FEDI
Segretario III Commissione Affari Esteri e Comunitari Camera dei Deputati