(di Gianni Pittella) - Il piano europeo di contrasto alla crisi finanziaria ed economico sociale, rappresenta una risposta parziale, debole, e, per certi versi, capace di produrre squilibri ulteriori all'interno dell' Europa. Esso si basa su un risibile impegno finanziario, appena 30 miliardi di risorse europee (d'altra parte col Bilancio che ci ritroviamo è impensabile fare di più),

e su un allentamento dei vincoli del patto di stabilità destinato a mettere in fibrillazione le regole sugli aiuti di stato, il principio della non distorsione del mercato, e ad avvantaggiare quei Paesi che hanno condizioni di bilancio meno critiche, non certo l'Italia che ha il terzo debito pubblico più alto del mondo. Il governo italiano ha dunque una doppia responsabilità: quella di non essersi opposto adeguatamente a tale piano varato con il suo consenso in sede di Consiglio Europeo, e quella di aver partorito un proprio programma di contrasto alla crisi molto più debole e inconsistente di quello degli altri Paesi europei. Il vertice di metà marzo può essere l'occasione per raddrizzare la rotta, ma ci vuole coraggio. Il Parlamento europeo ha da tempo indicato le strade da percorrere: 1) La separazione dei poteri all'interno delle banche centrali europee ha fatto il suo tempo. Occorre subito che la supervisione dei mercati finanziari sia affidata ad un soggetto sovranazionale o quantomeno a collegi di supervisori dei vari Paesi ove operano gli intermediari finanziari. È immaginabile di demandare alla BCE il compito di sorvegliare l'applicazione delle norme sui mercati finanziari. Serve contemporaneamente regolamentare le agenzie di rating, i fondi speculativi e il settore del private equity; 2) Il denaro assicurato alle banche per ossigenarle dai prodotti tossici deve essere posto in circolo a vantaggio di cittadini e imprese e la BCE potrebbe ulteriormente abbassare i tassi di interesse; 3) Serve un programma ambizioso per la crescita e il rilancio della domanda: per le sole infrastrutture gli USA hanno stanziato 45 miliardi di dollari, la Cina e l'India quasi 100. La realizzazione delle reti transeuropee richiede, come ci ha ricordato il collega Paolo Costa, Presidente della commissione trasporti del PE, 380 miliardi di euro. Il bilancio comunitario per sette anni e per tutte le sue rubriche, è di 865 miliardi. Possibile che non ci si renda conto che si pretende di curare una malattia grave con l'aspirina? Vanno lanciati titoli di debito, gli Eurobond, capaci di raccogliere una posta finanziaria di 1000 miliardi con cui sostenere, come abbiamo chiesto con il collega Mario Mauro e altri duecento parlamentari, la realizzazione delle infrastrutture, della banda larga, degli investimenti in campo ambientale ed in quello delle energie pulite, dei programmi erasmus per i giovani studenti, imprenditori, professionisti e neoassunti nella PA; 4) Occorre potenziare il fondo europeo di aggiustamento alla globalizzazione e dargli, come abbiamo chiesto con il collega Antonio Panzeri, una nuova ragione sociale: fungere da ammortizzatore per i tantissimi lavoratori che vanno a casa per la chiusura di interi comparti produttivi colpiti dalla concorrenza internazionale; 5) Serve un nuovo patto tra Commissione europea, Governi nazionali e regionali per l'uso dei fondi strutturali: accelerazione della spesa, concentrazione sui progetti strategici di dimensione interregionale e coerenti con la strategia di Lisbona. Infine l'Italia faccia sentire la sua voce contro la decisione inaccettabile della Commissione Barroso di non finanziare, col recupero di 5 miliardi non spesi della PAC, i progetti di approvvigionamento energetico che interessano il nostro Paese, malgrado siano validi e pronti. Anche su questo punto con i colleghi Susta e Mauro abbiamo già denunciato con durezza la grave responsabilità dell'esecutivo di Barroso.