La fine della seconda guerra mondiale, mise a nudo i danni immensi che l’Europa aveva subito e l’Italia non usciva certo indenne da una guerra cominciata male e finita peggio. L’industria era messa in ginocchio, i combattenti che rientravano dalla guerra o che avevano combattuto nelle file partigiane per la libertà,
si ritrovarono senza lavoro. In Sicilia le miniere di zolfo erano state a lungo chiuse e i padroni avevano fretta di rifarsi e cercavano di farlo a danno dei lavoratori. La sicurezza, i bassi salari, la necessità di assicurare la sopravvivenza alle famiglie, designavano una situazione economica disastrosa. Le lotte per la terra e per condizioni di vita più dignitosi si susseguivano, specialmente nel meridione d’Italia. Al Nord, l’industria annaspava cimentandosi con una ripresa lenta anche a causa della mancanza delle necessarie materie prime oltre che della manodopera. Urgevano soluzioni immediate, accordi con quelle nazioni che potevano offrire la materia prima indispensabile alla ripresa: il carbone. Cosa poteva scambiare l’Italia, se non la manodopera in cerca di lavoro? Una manodopera necessaria a nazioni come il Belgio, la Francia, La Germania, che avevano bisogno di operari per le miniere per le lavorazioni in sottosuolo che la popolazione indigena si rifiutava di fare. Le due necessità si trovarono attorno ad un tavolo di trattativa, che portò all’accordo del 23 giugno 1946, con il quale l’Italia si impegnava a mandare 50.000 operai ai padroni delle miniere di carbone belga che a loro volta si impegnavano a fornire ad un prezzo di favore carbone per l’industria italiana. L’accordo infatti prevedeva la fornitura di 2.500 tonnellate di carbone al mese per ogni 1.000 operai che si trasferivano in Belgio. La quantità di carbone poi, variava con il variare della produzione mensile di carbone. Non era la prima volta che l’Italia faceva accordi con le società carbonifere belga e non sarebbe stata nemmeno l’ultima. Già nel 1888 si riscontrano tracce di lavoratori che si indirizzavano alla miniera di Bois-De Luc vicino a La Louviere, mentre risale al 1922 il primo accordo italo belga per l’impiego di minatori italiani. Ancora un accordo bilaterale sempre italo belga viene firmato nel 1938. Non c’era ancora stata molta affluenza di lavoratori nemmeno a seguito di questi accordi. Nel 1945, infatti, in Belgio lavoravano ufficialmente 2.238 italiani, di cui ben 1.729 in sottosuolo e 509 all’esterno, divisi nelle 167 miniere attive. Nel 1946, dopo la firma dell’accordo, gli italiani che si trovavano nelle miniere belga, erano saliti a 19.164 dei quali 18.030 in sottosuolo e 1.134 all’esterno, divisi nelle 160 miniere attive. Il flusso continuò in maniera vertiginosa fino al 1957, quando nelle miniere belga si trovavano impegnati 43.995 operai in sottosuolo e 1.824 all’esterno. In questo periodo parecchi erano già i giovani che dopo cinque anni di lavoro in sotterraneo, erano costretti a ritirarsi in pensione per via della silicosi che attaccava in maniera irreversibile i polmoni. Intanto l’Italia continuava a firmare accordi come quelli con la Francia e con la Germania e cominciava anche il grande esodo verso il Nord, verso quelle fabbriche che si andavano riprendendo grazie al carbone di cui potevano disporre, grazie a questi accordi, ma principalmente grazie all’accordo italo Belga del 1946, quando vennero scambiate braccia in cambio di carbone. Prima verso il nord Europa e poi verso il Nord Italia, comincia e continua la grande diaspora del Mezzogiorno che ha spopolato i nostri paesi e che ancora non si è fermata. Il flusso verso le miniere belga cominciò a rallentare dopo la tragedia di Marcinelle dell’08 agosto del 1956 dove persero la vita 262 persone, di cui 136 italiani. La sciagura aprì la strada ad una grande riflessione sull’industria mineraria europea, che portò in seguito ad una graduale chiusura delle miniere, che dopo anni arrivò anche in Italia e quindi in Sicilia. Oggi, a 75 anni dell’accordo del carbone, non solo la nostra emigrazione, ma anche istituzioni, sindacati, mondo associativo, ricordano quell’accordo con una serie di manifestazioni, che stanno a testimoniare il sacrificio della nostra migliore gioventù, che ancor quando si salvò dalla morte in miniera, non si salvò certo dalla vita precaria a cui li condannò la silicosi. La nostra associazione USEF, il CARSE ed il movimento associativo tutto ricordano quell’accordo del 23 giugno del 1946, quando si potevano scambiare esseri umani con sacchi di carbone. Chiudiamo questa nostra riflessione con la frase di Max Frich che a proposito dell’emigrazione ebbe a dire: “cercavamo braccia sono arrivati uomini”. Mai come in questa occasione si adatta questa frase ripresa anche in alcuni ambienti belga. L’accordo del 1946 calcolava lo scambio di braccia contro carbone e non si rese conto, o se ne rese dopo molto tempo, che quelle braccia appartenevano a persone con le loro aspirazioni, le loro necessità, le loro passioni, il loro amore per una patria ostile che ebbe il coraggio di usarli per un vile baratto.
(Salvatore Augello 22 giugno 2021)