durata quattro mesi contro l’antagonista Repubblicano Richard Nixon, il giovane John Fitzgerald Kennedy, all’età di 43 anni, venne scelto dal popolo americano per guidare la più potente nazione del mondo. D’origini irlandesi e convinto cattolico - detto “Jack” – oltre a diventare il 35° Presidente degli Stati Uniti d’America (il più giovane della storia) è anche il primo nato nel XX secolo e, suo malgrado, il quarto assassinato durante un mandato. In quella lunga giornata d’autunno di 55 anni fa, l’american dream, di ora in ora, prendeva forma e realtà e le radio di tutto il Paese, i pochi televisori, i fotoreporter e i rotocalchi esaltavano la notizia dinnanzi ad un pubblico in trepida attesa.
Iniziano i favolosi anni sessanta, quelli del Rock and roll, delle Cadillac, della speranza e di un occidente sotto l’egida Nato in rapida ascesa economica. In Europa è tempo di “Cortina di Ferro”, piena Guerra fredda, e nella nostra “piccola” Italia c’è il sassarese Antonio Segni a Palazzo Chigi e il toscano Giovanni Gronchi al Quirinale. Gli occhi del vecchio continente sono tutti puntati oltreoceano e si aspetta, con particolare fermento, l’esito finale di quella estenuante campagna tra appassionati sognatori e accaniti conservatori. John, si insedia alla White House al posto di D. Eisenhower, il “generalissimo” ultra decorato nel secondo conflitto, strappando di misura la vittoria al famigerato Nixon con un 49,7% dei consensi contro il 49,5%. Quasi 69 milioni i votanti e al termine della tornata 303 i grandi elettori assegnati al partito Democratico e 219 ai Repubblicani. Diverse le motivazioni che portarono alla vittoria del giovane deputato del Massachusetts, in gran parte ottenuta nei popolosi Stati del sud e della est coast. Oltre alla grande e “discussa” influenza sull’elettorato del padre ed ex diplomatico Joseph P. Kennedy (consorte di Rose Fitzgerald), ritenuto vicino agli ambienti del boss di Chicago Sam Giancana e allo strepitoso fascino della moglie Jacqueline Lee Bouvier, è da considerarsi essenziale l’empatia che quest’uomo riuscì a trasmessa emotivamente nel cuore della gente. Non solo. Quel successo è soprattutto da attribuire allo storico confronto/scontro televisivo con lo sfidante, ritenuto all’unanimità come uno dei primissimi dibattiti politici che dalle piazze si era spostato nei piccoli schermi. E’ il suffragio in cui i mass media hanno contribuito in maniera decisiva ed essenziale alla vittoria di un candidato. La scaltrezza con la quale mise in difficoltà l’avversario, ex vice presidente e senatore della California, unitamente ad una straordinaria capacità oratoria, segnano inequivocabilmente quel piccolo sorpasso decisivo accaparrato tra gli indecisi dell’ultima ora. Pur conscio di essere finito in cima al mondo non si fa prendere dall’eccessivo entusiasmo; “La vittoria ha mille padri, ma la sconfitta è orfana”, meglio dunque tenere i piedi per terra.
Il 20 gennaio del 1961 presta giuramento a Washington D.C. e mette in campo una squadra di governo di tutto rispetto; all’ex sfidante nelle primarie Lyndon Johnson (che lo sostituirà dopo la sua tragica morte), affida la Vice Presidenza; all’affezionato fratello “Bob” la giustizia, al bravo Robert MacNamara l’importante apparato della Difesa e al Capo di Gabinetto Kenneth P. O’Donnell il ruolo di “facente funzioni”.
Memorabile il suo discorso d’insediamento fuori del Campidoglio così come quella frase che ancora oggi rimane stampata nell’immaginario collettivo; “Dunque, miei concittadini americani, non chiedete cosa il vostro paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese”.
Dolorante (per via degli acciacchi di guerra) ma onnipresente, in soli tre anni di “comando” – Kennedy - nonostante la sua apparente inesperienza affronta e risolve magnificamente problematiche, in seno alla nazione e fuori confine, di rilevanza planetaria. Ancora oggi molte di quelle difficili decisioni da lui prese, talvolta in maniera sofferta, lo rendono uno dei migliori leader che il blocco occidentale abbia mai avuto. Epura, dopo la fallimentare operazione della Baia dei Porci, il potente Allen Dulles al vertice della Central Intelligence Agency (CIA) e tiene testa all’intransigente Nikita Kruscev durante la delicatissima crisi missilistica di Cuba, nei famosi 13 giorni d’ottobre. Il discorso di fronte alla Porta di Brandeburgo è esplicito: “Ci sono molte persone nel mondo che davvero non capiscono - o dicono di non capire - qual è la grande differenza tra il mondo libero e il mondo comunista. Che vengano a Berlino!”
Arresta l’intervento militare contro Castro e apre al dialogo con gli afroamericani appoggiando fortemente l’integrazione razziale, oltre ad impegnarsi in maniera decisiva per i programmi spaziali. L’Europa e gli alleati li considera intoccabili; “La geografia ci ha creato vicini. La Storia ha fatto di noi degli amici. L'Economia ci ha resi partner, e la necessità ha fatto di noi degli alleati. Ciò che Dio ha unito in matrimonio, nessuno osi dividere”. Anche in politica interna si rende particolarmente attivo tramite le leggi sull’istruzione; sulla parità sociale dei diritti civili e contro le discriminazioni in ogni luogo; pubblico e privato.
Nonostante i tanti ammiratori, le ottime riforme, la fama di latin lover e la splendida famiglia che lo ha sempre affiancato con devozione, il giovane Presidente – purtroppo – si era fatto, durante il suo breve percorso istituzionale, anche una buona dose di oppositori; tra i poteri forti e fuori dal “cortile” di casa. A Dallas, il 22 novembre del ’63, si interrompe nel peggiore dei modi il suo mandato, in procinto di chiudersi “naturalmente” l’anno seguente.
Un’epopea meravigliosa di un giovane Capo di Stato, padre di due figli (Caroline e John jr.), durata pochissimo ma della quale ancora oggi si parla in molte sedi. Tre spari, quattro, forse sei. Una collinetta, il sarto Abraham Zapruder con la sua 8mm, l’ex Marines convertito di nome Lee Oswald e il mafioso Jack Ruby. Gli affari sporchi di Cosa nostra e CIA, la collera degli anticastristi e soprattutto l’intolleranza dei “confederati” che non gradirono affatto quell’apertura ai neri. L’ostinata commissione Warren (ufficiale) confutata e aspramente discussa successivamente dalla Garrison, il tutto per un sofisticato rebus ancora – dopo oltre cinquant’anni - non chiarito. Un intrigato mistero in quel maledetto viaggio verso il Texas, contornato da tante, troppe e oscure contraddizioni che hanno avvolto opinabilmente la mancata verità. Forse la sua condanna a morte la firma il 27 Aprile 1961 quando, a mezzo stampa, attacca fortemente al Waldorf-Astoria di New York il comparto dei secret service dell’NSA (National security agency); “La stessa parola segretezza è ripugnante in una società libera e aperta e noi siamo un popolo intrinsecamente e storicamente contrario alle società segrete, ai patti segreti e alle procedure segrete”.
La strana morte di Kennedy, personaggio carismatico e vincente, lascia orfana non soltanto una delle nazioni più amate di sempre ma diventa simbolo importante di un’epoca irripetibile; quella della rinascita, del sogno di libertà e di un’evoluzione storica che ha contraddistinto in maniera indissolubile il secolo Novecento. (Mirko Crocoli)