Il 26 agosto del 1812, in un articolo sul Morning Cronicle, del quale era corrispondente l’intellettuale scozzese Gould Francis Leckie, già residente nell’Isola dall’inizio del secolo – nel siracusano aveva acquistata dei terreni – pubblicò un ampio resoconto di quanto avveniva in Sicilia in quei mesi che portarono alla firma della costituzione strappata dai baroni a Ferdinando III di Borbone. Senza mezzi termini,
Leckie giudicò l’adozione della Costituzione, da molti considerata una conquista di libertà che apriva all’Isola orizzonti di nuovi e gravidi di ulteriori sviluppi, come una farsa recitata con grande sapienza da chi deteneva il potere reale in Sicilia. Scriveva, infatti, con grande acutezza di pensiero il nostro intellettuale che il baronaggio, dietro la copertura fornitagli dall’adozione di una carta fondamentale che per sommi capi richiamava quella britannica, si riproponeva senza alcuni di quei vincoli che, fino ad allora, ne avevano frenato lo strapotere, come ceto dirigente e classe di riferimento esclusiva, ribadendo con ciò il modello di potere che aveva storicamente presieduto alle sorti della Sicilia nel lungo periodo che andava, soprattutto, dal regno di Federico d’Aragona a quello della dinastia borbonica. Scriveva, fra l’altro Francis Leckie, questa significativa riflessione che trascrivo nella lingua originale, aggiungendo, per chi non conosce l’inglese, una mia traduzione: “When the source of rightbecome the means of oppression. What more iswanting to make a people miserable?” Cioè: “Quando la fonte del diritto diventa il mezzo di oppressione. Cosa si vuole di più per rendere un popolo infelice?” Parole forti che fanno comprendere, anche a chi non sapeva niente dell’Isola, come fosse drammatica la situazione in quegli anni in Sicilia. D’altra parte, Leckie non era nuovo a sollevare questo problema. Interessato dal governo britannico sulla situazione siciliana prima del diretto intervento inglese sul territorio, in una dettagliata e puntuale relazione, aveva evidenziato, con un certo disappunto, che obtorto collo fosse necessario sostenere i Borbone in Sicilia, per avere una base strategica dalla quale attaccare la Francia. Infatti, suggerendo questa strategia di sostegno non poteva fare a meno di constatare che in quel frangente si era “costretti a soccorrere il re di questo Paese” e, quel “costretti”, evidenzia il profondo disagio per una scelta, forse, moralmente poco opportuna ma giustificata dagli eventi. Francis Leckie dava, dunque, un giudizio assolutamente negativo di governanti e società siciliana e, in questo giudizio, non risparmiava il potentissimo clero considerato “whithfewexception, illetterate, ignorant, and immoral”, vale a dire, “con qualche piccola eccezione, analfabeta, ignorante e poco morale”. Pasquale Hamel