VIOLET GIBSON, TIRANNICIDA O PAZZA?

Pasquale Hamel : 5 Novembre 2021 Il 1926 è l’anno in cui suona la campana a morto per la democrazia italiana, dopo la crisi che aveva visto vacillare il fascismo. Di fronte alle incertezze di quei centri di potere che avrebbero, volendolo, potuto mettere alla porta Mussolini e le sue “bande nere”,

il Duce capisce che avrebbe dovuto giocare le sue carte calando l’asso capace di decidere la partita. Il 9 novembre del 1926, la Camera approva la decadenza dei deputati aventiniani e dei comunisti e l’introduzione della pena di morte anche se, in un primo tempo, limitata ai reati politici. A monte ci sta la risposta alle difficoltà dovute al delitto Matteotti che scuote dal suo torpore l’opinione pubblica nazionale ma ci stanno anche episodi marginali nell’economia generale che vengono abilmente strumentalizzati per raggiungere l’obiettivo di consolidare il governo autoritario. Fra questi episodi gli attentati per uccidere il Duce. Uno di questi attentati, che suscitò vasta eco per le relazioni internazionali dell’autrice, è quello che ebbe come responsabile l’irlandese Violet Gibson, signora alquanto stravagante appartenente ad una nota e influente famiglia, figlia di Edward Gibson, barone di Ashborne, già lord cancelliere d’Irlanda. Proprio a questa vicenda, per i tipi di Fefé editore l’interessante volume, a più mani – ne sono coautori Rosanna De longis, Giovanni Tessitore, Gabriella Romano – per consentire un approccio scientifico da più angolature, dal titolo 7 aprile 1926, Attentato al Duce, a cura di Giovanni Pietro Lombardo, già ordinario di storia delle scienze e delle tecniche psicologiche alla Sapienza di Roma. Ma andiamo ai fatti. Proprio il 7 aprile di quell’anno, mentre il Duce usciva dal Campidoglio dove aveva inaugurato un Congresso internazionale di chirurgia, una donna, proprio Violet Gibson, gli esplodeva un colpo di rivoltella in faccia. Per fortuna della vittima, il colpo sfiorò il suo naso lasciandolo illeso. L’attentatrice veniva immediatamente fermata e tradotta in prigione. La domanda che immediatamente sorge è quella del movente che spinge la donna a sparare al Duce, e qui viene fuori la storia complicata della donna, più che di una consapevole tirannicida si trattava di un soggetto affetto da turbe psichiche. Violet era un’alienata, come ne erano convinte le amiche e come la riteneva il prof. Mendicini che la ritenne affetta da “Delirio mistico”. D’altra parte, anche la perizia ufficiale, redatta dai professori Sante De Sanctis e Augusto Giannelli, luminari di scienze neurologiche, concordava su questa tesi che, peraltro, faceva anche comodo a chi non intendeva aprire un caso politico. Questa soluzione, però, non ha convinto molti ed il libro, come dichiara il curatore, tende proprio a “fare emergere una rinnovata memoria della donna che, dalla documentazione operata sulla base di alcuni documenti epistolari, risulta abbia in realtà ininterrottamente e con una certa coerenza, manifestato…opposizione al fascismo rappresentato da Benito Mussolini”. In poche parole, è altamente probabile che la Gibson fosse cosciente dell’atto cha andava a compiere e delle relative conseguenze che il compimento dell’atto avrebbe avuto sulla sua persona. Pasquale Hamel TAG: Benito Mussolini, Edward Gibson, fascismo, pena di morte CAT: Psicologia, Storia (Pasquale Hamel)