sociali, culturali, di ordine pubblico. Presenta sia problemi sia benefici, che non sono un dato fisso e inevitabile, ma il risultato della nostra capacità di gestirlo.
Ogni discussione su questo tema, però, non può essere una fredda comparazione di costi e benefici. Non bisogna mai dimenticare che il “fenomeno” immigrazione è fatto dagli... immigrati: uomini in carne ed ossa, con le loro storie, le loro speranze, le loro paure e debolezze, i loro diritti (e i loro doveri), la loro creatività, la voglia di rendersi utili (o di approfittare delle situazioni), i loro vincoli familiari.
La dimensione dell’immigrato-uomo spesso è trascurata anche da coloro che vedono nell’immigrazione solo una risorsa, e che si vorrebbero porre come paladini degli immigrati. Ma vedremo che proprio la dimensione di umanità può essere calpestata e offesa, se l’immigrazione è incoraggiata senza nessuna gestione o controllo.
1. Problemi e benefici connessi all’immigrazione.
Esistono numerosi problemi che possono derivare da un’immigrazione eccessiva e non regolamentata, e che possono recar danno alla società, ma anche ferire la dignità stessa degli immigrati (come degli Italiani più deboli):
1. cattive condizioni di vita degli immigrati, sia dal punto di vista del lavoro (bassi salari, sicurezza e diritti precari) sia da quello dell'alloggio (alti prezzi di acquisto e affitto, condizioni malsane e sovraffollamento);
2. peggioramento delle condizioni di lavoro e di alloggio degli Italiani delle fasce più deboli, che entrano in competizione con gli immigrati;
3. scadimento di un sistema di protezione sociale gravato da troppo assistiti, con conseguenze negative per gli Italiani che non hanno la possibilità di pagarsi tutele privatistiche;
4. delinquenza degli immigrati senza lavoro. Una condizione di cui questi immigrati possono essere parzialmente anche vittime, perché arrivano con speranze non realizzabili. E vittime, ovviamente, sono i cittadini locali, soprattutto quelli dei quartieri dove si concentrano gli insediamenti di immigrati;
5. sfruttamento degli immigrati da parte della criminalità organizzata che gestisce i flussi migratori. Si va dall’impoverimento di immigrati che al loro Paese avevano una condizione di vita dignitosa, sono stati spinti a vendere tutto per pagare il viaggio, e non vedono realizzabili aspettative che spesso erano state enfatizzate da chi li ha incoraggiati a partire. Sino ad arrivare allo schiavismo e alla tratta delle giovani donne, indotte a partire con la promessa di lavoro e poi costrette alla prostituzione;
6. impoverimento dei Paesi di provenienza, privati delle risorse umane più intraprendenti e più pronte al sacrificio (l'ambasciatore rumeno Razvan Rusu ha denunciato che in Romania inizia ad esserci una forte carenza di manodopera: almeno 27mila lavoratori);
7. violenza sui soggetti deboli nelle comunità-ghetto di immigrati;
8. conflitti sociali ed economici, soprattutto tra le classi deboli italiane e immigrate (“guerra tra
poveri”);
9. conflitti politici e culturali per l’esistenza di differenze inconciliabili su principî di convivenza e diritti fondamentali: idea della laicità dello Stato, diritti delle donne e dei minori, diversa sensibilità sull’esigenza di isolare violenza e terrorismo, ecc.
Si badi bene: quelli che abbiamo passato in rassegna sono i problemi derivanti da un’immigrazione eccessiva e non regolamentata. Molti di questi problemi possono essere evitati se ci si sforza di gestire il fenomeno.
Inoltre, non bisogna dimenticare i nostri doveri di solidarietà, né i benefici e le risorse che pure vengono dall’immigrazione:
1. manodopera per numerosi settori in cui c’è carenza;
2. contributo di creatività e sviluppo economico anche in altri settori, perché l’economia cresce anche trasformandosi, innervata da nuove idee;
3. apporto positivo alla stabilità sociale derivante dallo spirito di laboriosità e di sacrificio tipico degli emigranti;
4. arricchimento culturale. Il rischio che l’incontro di culture diverse diventi scontro non deve far dimenticare l’opportunità che sia incontro fecondo.
2. I criterî fondamentali per “gestire” l’immigrazione.Come dosare problemi e risorse? In che cosa consiste la “gestione”, la “regolamentazione” del fenomeno migratorio?
I criterî fondamentali sono a nostro avviso due:
2.1. Programmazione dei flussi.
L’immigrazione non è un “diritto” in sé. Ricordiamo che ad ogni diritto corrisponde un dovere, e che l’adempimento di questo dovere dev’essere possibile. (Ad esempio, possiamo dire che un figlio ha diritto alla migliore istruzione possibile; non che possa pretendere - da genitori che non ne hanno la possibilità – la frequenza di master all’estero).
Ciò nondimeno, esiste un dovere morale, di solidarietà umana, ad aiutare ed accogliere le persone in condizione di bisogno. Questo dovere deve essere esercitato, appunto, nei limiti in cui sia realisticamente possibile, nei limiti in cui l’accoglienza offerta sia dignitosa (non si può dire: “vieni e arrangiati”), nei limiti in cui consenta il rispetto del bene comune della società ospitante.
Possiamo e dobbiamo, dunque, accogliere gli immigrati – e le loro famiglie - ai quali siamo in grado di offrire un lavoro. Programmando il numero di coloro che possiamo accogliere, e assicurando il rispetto di questa programmazione (se necessario, con respingimenti alle frontiere e rimpatrî obbligati).
Inoltre, possiamo accogliere gli immigrati che abbiano effettivamente il desiderio di contribuire al bene comune della società che li ospita. Per chi delinque, non si può considerare un dovere di solidarietà garantire l’ “ospitalità” nelle nostre prigioni...
2.2. Integrazione degli immigrati.
Gli immigrati - a parte quelli temporanei (stagionali, per motivi di studio) - sono in larga parte persone che entrano in nuovo Paese per costruirsi una nuova vita, stabilirvisi a lungo, in molti casi per sempre. Ebbene, è necessario che questo inserimento avvenga senza conflitti con la società che li ospita, costruendo una graduale reciprocità di diritti e doveri.
Un immigrato, dunque, deve rispettare innanzi tutto le leggi del Paese che lo ospita. Non possono esserci zone franche, quartieri di immigrati, dove queste leggi (con particolare riguardo ai diritti fondamentali delle persone: diritti delle donne, dei bambini) non sono rispettate.
Rispettando tali leggi, l’immigrato potrà esigere il rispetto dei diritti umani e di libertà (personale, di inviolabilità del domicilio, di espressione, di religione, di tutela giudiziaria, di istruzione per i minori) che la Costituzione riconosce a chiunque soggiorni nel nostro territorio; nonché il rispetto dei diritti connessi alla propria prestazione lavorativa e dei diritti di prestazione economica connessi alle tasse versate.
A questo primo livello di integrazione – la capacità di rispettare regole comuni – ne dovrà seguire uno ulteriore: la cittadinanza. Si tratta dello status cui sono connessi i diritti civili e politici, cioè i diritti che la Costituzione riserva ai cives, ai cittadini: la pienezza del diritto a circolare e soggiornare in ogni parte del territorio e del diritto di associazione; la possibilità di ottenere politiche di sostegno sociale allargate; la possibilità di determinare (con il voto) gli indirizzi e le regole della comunità.
La necessità di graduare il godimento di tali diritti – e di pretendere il rispetto di corrispettivi doveri – deriva dal fatto che una comunità non si regge solo sulle leggi economiche, su logiche di scambio. Una comunità ha regole di convivenza sociale che sono l’espressione di valori comuni. Una comunità ha bisogno di legami di solidarietà che non possono essere imposti, ma si attivano se c’è reciproco riconoscimento tra i membri della comunità stessa.
Non si è più immigrati, ma cittadini a pieno titolo, dunque, dopo aver appreso la lingua di un Paese, dopo avervi vissuto un numero di anni sufficiente a comprenderne la mentalità e la cultura, e a condizione di condividere i valori fondamentali espressi dalla Carta costituzionale di quel Paese. Dopo che si è raggiunto, insomma, un pieno livello di integrazione. Convinzione che sembra maturare nella sinistra italiana (vedi le posizioni di Barbara Pollastrini).
I criterî che abbiamo delineato per la gestione dell’immigrazione potrebbero sembrare troppo rigidi o apodittici. Per approfondirli meglio, e comprenderne l’importanza, possiamo esaminare i luoghi comuni, i pregiudizi, le esigenze economiche, le ideologie politiche che animano il dibattito sulla materia, soprattutto da parte di coloro che – da fronti opposti - sono contrarî ad una gestione del fenomeno: o perché pensano che l’immigrazione debba essere assolutamente libera; o perché pensano che vada semplicemente impedita.
3. Quelli che dicono “l’immigrazione è una risorsa”.
Ma chi sono coloro che incoraggiano un’immigrazione intensa, con maglie larghe (o addirittura senza controlli)? Quali argomenti propongono?
3.1. La domanda di manodopera delle imprese.
Tra i fautori di un’immigrazione intensa ci sono molti imprenditori, che richiedono manodopera per i lavori “che gli Italiani non vogliono più fare”. Ma è davvero così?
Ci sono, effettivamente, alcuni lavori che negli ultimi anni, con la diffusione del benessere, gli Italiani amano sempre meno. Si tratta soprattutto delle attività considerate più “umili”, che richiedono grande fatica, che comportano rischi: badanti, operai non specializzati, braccianti agricoli.
La realtà non è però così semplice. Non è che in Italia si studi più che in passato: la percentuale di laureati è stabile, nonostante il percorso di studi sia spesso più facile e siano state create numerose opportunità di formazione specialistica “breve”. Molti Italiani cercano lavoro senza avere grande professionalità. Davvero sono tutti presuntuosi e sfaticati, davvero pretendono tutti un lavoro “dietro la scrivania”?
O non sarà che, spesso, certi lavori gli Italiani non li vogliono fare perché quei lavori sono mal pagati, perché non si è tutelati dai rischi mediante adeguate misure di sicurezza?
“Ma il costo della manodopera non può salire troppo, altrimenti le imprese non sono più competitive”. Anche qui, c’è parecchia ipocrisia.
Quanto incide la manodopera nel manifatturiero, uno dei settori più proiettati all’esportazione (e quindi con l’esigenza della competitività)? Il 20-30% del prezzo finale. Il resto è ripartito tra profitti, ricerca, costi per macchinari e processi di trasformazione, costi energetici, pubblicità e – soprattutto – costi di distribuzione (trasporti e margini di guadagno di grossisti e rivenditori finali). Nell’agricoltura il prezzo al dettaglio spesso supera di dieci volte quello alla produzione!
La competitività non la possiamo costruire limando i salari (che, in ogni caso, resterebbero superiori a quelli dei Paesi meno sviluppati) o risparmiando sulla sicurezza. La competitività la dobbiamo costruire sull’innovazione, la qualità, la riduzione della pressione fiscale, il supporto di strutture e amministrazioni efficienti. Tant’è che abbiamo salari tra i più bassi (anche per colpa della tassazione) dei Paesi OCSE, eppure non siamo altrettanto competitivi!
Lavori sottopagati e insicuri: è una situazione che ferisce la dignità degli immigrati e danneggia una parte di cittadini italiani, quelli delle fasce sociali più deboli, che sarebbero disposti a lavorare a condizioni migliori.Peraltro, i lavori sottopagati rallentano l'innovazione, perché i bassi salarî rendono conveniente mantenere in vita anche lavori destinati a scomparire.Aggiungiamo un’altra osservazione: gli immigrati non vengono a svolgere solo i ma anche – col passare del tempo – lavori qualificati. Lavori appetiti, naturalmente, da un numero ancora maggiore di Italiani: operai non solo generici, ma specializzati; artigiani; commercianti; tassisti (magari alle dipendenze di società e cooperative); ecc. Prossimamente: ingegneri, matematici, chimici. Il che è giusto e inevitabile: non si può immaginare che l’immigrato sia confinato in una condizione di serie B.
Ma il problema è: c’è bisogno di questa manodopera? In che quantità? O si vuole creare una competizione che abbassi oltremisura il potere contrattuale dei lavoratori? Si vuole creare quello che Marx definiva “esercito industriale di riserva”? Certo, Marx sbagliava a considerare una condizione necessaria del capitalismo quella che era una condizione occasionale del mercato del lavoro (eccesso di offerta), di cui magari poteva approfittare la miopia di qualche capitalista senza scrupoli. L’economia di mercato, invece, è aiutata da salari alti, che creano domanda di consumo e stimolano l’economia. Però non dobbiamo fingere di non vedere che la miopia di qualche capitalista-imprenditore può ripresentarsi...
3.2. L'illusione di usare gli immigrati per pagare le pensioni.
Le riforme pensionistiche sin qui approvate non sono sufficienti a sanare lo squilibrio dei conti pensionistici, dovuto al fatto che le pensioni sin qui erogate sono molto più elevate dei contributi versati da quei lavoratori. Il "trucco" di pagare le pensioni con i contributi dei lavoratori ancora in attività non funziona più, a causa del calo demografico. I giovani che già sono entrati nel sistema a “capitalizzazione” dovranno versare ancora a lungo, oltre ai contributi per la propria pensione, i soldi per pagare le pensioni già erogate, ed anche per sostenere i servizi sociali (assistenza, sanità) necessarî ad una popolazione sempre più anziana.
E' illusorio pensare che il problema si possa risolvere favorendo l'immigrazione, per pagare le pensioni con i contributi dei lavoratori immigrati.
Innanzitutto, molti immigrati lavorano in nero, e quelli in regola esercitano attività scarsamente remunerative, versando di conseguenza contributi esigui; si porrà anzi il problema del loro trattamento pensionistico. Quand’anche si arrivasse ad una generazione di giovani lavoratori immigrati che abbia acquisito un importante peso politico e sociale, non è da trascurare il fatto che essi, probabilmente, si lamenteranno di essere “sfruttati” se si chiederà loro di “mantenere” gli italiani anziani.
La gravità del fenomeno può essere attenuata solo, in prospettiva, da una veloce ripresa demografica.
3.3. Gli immigrati strumentalizzati dalla sinistra estrema.
Marx era convinto che il capitalismo si reggesse solo sullo sfruttamento, per cui il suo collasso doveva essere inevitabile. La storia lo ha smentito.
Eppure non manca qualche comunista nostalgico che resta abbagliato da queste idee. Qualcuno convinto che “bisogna far esplodere le contraddizioni interne del capitalismo”, attirando masse di immigrati in numero tale che non possano essere assorbiti senza aspri conflitti sociali, e che si arrivi ad una “crisi di sistema”. Insomma: se il capitalismo non cade da solo... diamogli una mano!Inoltre, questi nuovi immigrati in condizioni di disagio dovrebbero divenire un bacino elettorale per partiti che conoscono un inesorabile declino storico.Qualcuno potrà essere