L’EMIGRAZIONE SICILIANA NELL’ITALIA DEL MIRACOLO ECONOMICO

L’emigrazione nasce con l’uomo perché spesso è l’unica arma per fuggire da guerre, miseria, vessazioni, pesanti condizioni di lavoro, dittature di vario genere.

In questi casi, emigrare diventa un problema di sopravvivenza, di spazi dove costruire una nuova vita, dove cercare nuovi e soddisfacenti mezzi ed occasioni per una elevazione sociale. Diversi sono i periodi in cui va inquadrato il dramma dell’emigrazione ed ogni periodo ha una sua storia, così come una propria storia ha ogni flusso che si dirige verso un preciso paese dell’universo. Per esempio, nel periodo 1861 – 1915 ossia nel lasso di tempo che va dall’unità d’Italia all’inizio della prima guerra mondiale, ben 9.000.000 di italiani emigrarono orientandosi come destinazione preferita verso le Americhe. Solo dalla sola Sicilia sono stati 1.126.513 i cittadini che sono emigrati. La cifra cambia, quando arriviamo a metà degli anni 80 (1985) raggiungendo il numero di 29.000.000. Nello stesso periodo va tenuto in conto che circa 10.000.000 di persone rientrarono in Italia nei paesi di provenienza, ma siamo sempre di fronte ad un saldo negativo di 19 milioni. Il flusso migratorio cambia direzione durante il periodo fascista quando gli italiani emigravano raggiungendo le colonie dell’impero in Libia ed in Eritrea, mentre verso l’Europa con preferenza verso la Francia ed il Belgio si dirigeva una emigrazione prevalentemente politica, che sfuggiva al fascismo. I flussi migratori crebbero subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando cominciò il periodo della ricostruzione. L’Italia aveva un grande bisogno di materie prime come ad esempio il carbone, ma anche di moneta pesante moneta estera. Cosa poteva esportare l’Italia per cercare quello di cui aveva bisogno? Solo manodopera, cercando di raggiungere in questo modo due obiettivi:

1. evitare pressioni sociali dovuti alla crescente disoccupazione. In quel momento il governo fece una precisa scelta politica, annunciata dallo stesso De Gasperi quando disse nel 1949 “imparate le lingue e andate all’estero”. Scelta in ,linea con gli accordi già fatti al fine di incentivare l’emigrazione: -1946 accordo con il Belgio per mandare 50.000 lavoratori per le miniere in cambio di una linea preferenziale per rifornire le industrie del Nord Est del carbone di cui avevano bisogno; - 1946 primo accordo con la Francia per inviare 20.000 minatori che diede risultati limitati (2.000) - 1947 secondo accordo con la Francia per 200.000 lavoratori dei quali ne partirono solo 50.000. Era evidente che le persone preferivano evitare le partenze concordate, perché non offrivano grandi garanzie; - 1955 accordo con la Germania.

2. Favorire la ricostruzione in Italia che era uscita dalla guerra con l’industria in ginocchio alle prese con una difficile ricostruzione.

Oggi, per chiudere questa introduzione, l’Italia ha circa 6.000.000 di emigrati iscritti all’anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE), mentre una stima approssimata riferisce che in giro per il mondo vi sono oltre 60.000.000 di oriundi. Come se all’estero avessimo altre due Italie delle quali i governi non sanno o non vogliono sfruttarne le potenzialità. Ma entriamo nell’argomento che voglio affrontare in questa mia riflessione. Stiamo parlando degli anni del così detto boom economico, un boom che si ritrovò nel pieno della ricostruzione dell’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale già da tempo e che richiedeva parecchia manodopera per soddisfare le esigenze di industrie come la FIAT, La Pirelli, L’Ansaldo ecc.. Periodo di scelte a lungo termine. La Sicilia non solo era in preda ad una crescente disoccupazione, ma si trovò di fronte ad una situazione economica molto dissestata. Dopo le grandi battaglie per l’occupazione delle terre, che abbiamo visto anche a Serradifalco, i siciliani hanno dovuto assistere al fallimento di una riforma agraria che aveva assegnato degli appezzamenti di terreno molto piccoli, che non potevano soddisfare le esigenze delle famiglie. Inoltre, non ebbero nemmeno le terre migliori, ma quelle meno produttive che richiedevano molto lavoro per essere messe in produzione. L’altro cespite di attività economica rappresentata dal settore minerario, non godeva certo buona salute. Anche se qui avevamo la Montecatini che garantiva rispetto dei contratti ed occupazione, nel resto della Sicilia le miniere di zolfo risentivano della crisi del settore, oltre che di un trattamento che non era dei migliori. Sul settore minerario esiste una gran quantità di letteratura che descrive le condizioni dei minatori. Si veniva da un periodo di grande sfruttamento quando i minatori ricevevano paghe basse che non avevano nessuna regolarità. Spesso i padroni pagavano con buoni spesa da spendere in negozi convenzionati, che regolarmente facevano la cresta, mentre la vita all’interno della miniera risentiva della carenza di tecnologia aggiornata. Gli incidenti erano all’ordine del giorno spesso anche gravi con parecchi morti e feriti. Le grandi battaglie portate avanti, in seguito avrebbero portato alla nascita dell’Ente Minerario Sicilia nel 1962 e di altre società a capitale misto, oggi tutte scsomparse. Di fronte ad una situazione come quella appena accennata, i reclutatori che sulle piazze dei nostri paesi cercavano di reclutare personale da mandare all’estero ebbero gioco facile. Lo stesso avvenne per il richiamo che veniva dal nord dove era facile trovare lavoro data la fame di manodopera che c’era. Pigliava forma il grande esodo interno, che cominciava a generare parecchi problemi. Che si ripercuotevano sia nei paesi di provenienza che nelle città di destinazione. Nei paesi di partenza, cresceva lo spopolamento, le forze migliori partivano per il nord abbandonando la campagna o la miniera, in cerca di un posto sicuro. Nelle città in cui si trasferivano, il processo di inurbazione determinò la crescita tempestiva della popolazione, una città come Torino, in pochi anni passò da 719.000 abitanti ad 1.168.000 e la stessa cosa avvenne con città come Milano, Genova ed i comuni dormitorio dove si andavano stabilendo numerose comunità provenienti dal Meridione. Il primo problema che venne a galla fu quello degli alloggi. Si cercò di risolverlo ristrutturando vecchi palazzoni dove vennero predisposti per lo più dei bilocali che si affacciavano su lunghe balconate, che ospitavano anche gabinetti comuni. Si cominciò a pensare di incrementare anche i servizi mentre parallelamente cresceva il numero di cartelli con la scritta “affittasi appartamento non a meridionali” un razzismo con il quale i nostri emirati dovettero fare subito il conto e che ora sembra volere rispuntare. Ben presto, l’esodo di soli uomini, superato il tempo di adattamento, si trasformò in esodo delle famiglie, aggravando lo spopolamento. Gli emigrati cercarono rifugio nei partiti e nelle associazioni che contribuirono a creare ed a portare avanti, mentre attraverso i sindacati conducevano le battaglie per i contratti e per il rispetto dei diritti civili e della parità si trattamento, che in seguito avrebbe anche portato alla eliminazione delle gabbie salariali.

Per concludere, mi permetto dire che quanto sopra descritto, sfata la leggenda che il Nord ha, mantenuto il Sud, come alcuni politici hanno inteso affermare in passato. Semmai la storia e gli avvenimenti ci dicono che i disoccupati del Meridione sono stati i maggiori costruttori delle fortune del Nord. (Salvatore Augello 11 febbraio 2021)