Dopo la seconda guerra mondiale l'emigrazione riprese con nuovo vigore e nuove caratteristiche. Dal 1946 al 1970 espatriarono quasi 7.000.000 di italiani provenienti prevalentemente dalle regioni del Centro e del Sud. Il tasso di emigrazione, pari al 5,3% fino al 1955, è salito a ca. il 6,6% dal 1956 al 1965 per poi scendere al 4% dal 1966 al 1970. La corrente continentale ha continuato a prevalere su quella transoceanica fino a pesare per il 74% nel quinquennio 1966-70.

In conformità alla prevalente direzione continentale si è accentuato il carattere temporaneo del flusso emigratorio (l'emigrazione transoceanica infatti è per natura permanente): la percentuale dei rimpatri, pari solo al 33% negli anni 1946-51 (45% dall'Europa e 19% dai Paesi d'oltreoceano), ha superato il 70% negli anni 1960-70 (78% dall'Europa e 31% dai Paesi transoceanici). La Svizzera ha assorbito da sola quasi la metà degli emigranti verso i Paesi europei: l'altra metà si è diretta verso i Paesi della CEE, Repubblica Federale di Germania soprattutto. Fra i Paesi d'oltreoceano, USA, Canada, Venezuela e Australia sono state le mete preferite dagli emigranti italiani. Negli anni Settanta la recessione economica mondiale ha fatto scendere la media annua degli espatri a 108.000 unità. I Paesi europei hanno accolto il 77% degli emigrati italiani, ma nel corso di tale decennio il numero di coloro che sono rimpatriati da questi Paesi ha superato di oltre 61.000 unità quello di coloro che vi si sono diretti. Nel corso degli anni Ottanta i movimenti migratori interni sono restati ai livelli usuali: nel 1988 sono stati registrati 639.000 spostamenti all'interno dell'area del Centro-Nord e 304.000 all'interno del Mezzogiorno, mentre 64.000 persone si sono spostate dal Centro-Nord verso il Mezzogiorno e 107.000 hanno seguito la strada inversa. Per quel che riguarda l'emigrazione verso Paesi esteri, nel 1988 su 49.000 espatri, ca. 38.000 hanno interessato i Paesi europei, 6000 l'America. Mentre il saldo espatri-rimpatri nel 1987 e nel 1988 ha oscillato intorno allo zero, nel 1989 esso si è rivelato positivo di oltre 15.000 unità, a confermare come l'Italia non possa ormai essere definita un Paese d'emigrazione. Al contrario essa è da tempo interessata, come del resto tutti i Paesi economicamente evoluti, a un vasto movimento di immigrazione. Anche nei primi anni Novanta è continuato il flusso immigratorio, in larga parte clandestino. Esso ha interessato particolarmente persone provenienti dall'Est europeo, dall'area balcanica, dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche dall'Africa sub-sahariana. Una consistente immigrazione si è avuta pure da varie nazioni orientali e dell'America Latina. Si tratta di un fenomeno impossibile da quantificare con certezza per la numerosa presenza di clandestini; stando ai dati ufficiali, gli stranieri residenti in Italia nel 2000 erano 1.572.612, una cifra comunque contenuta (circa il 2,5% della popolazione) rispetto alla situazione degli altri Paesi sviluppati. Difficile dare conto della varietà delle motivazioni che caratterizzano l'immigrazione verso l'Italia. Si può solo affermare che essa è innanzitutto il risultato delle gravi differenze economiche tra Nord e Sud del mondo e del conseguente squilibrio demografico; a ciò si debbono anche aggiungere gli esodi determinati dai numerosi eventi bellici che si stanno manifestando nelle aree marginalizzate del mondo in questa fine di secolo. Esempi, a questo proposito, sono forniti dai tentativi di immigrazione clandestina da parte di Albanesi e, nel 1998, di Curdi. Alla fine degli anni Novanta, l'incremento delle correnti migratorie verso l'Italia, soprattutto dai Paesi dell'area balcanica, focolai di guerre etniche, ha portato il governo italiano a stabilire criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso, fissando quote massime di stranieri da ammettere per lavoro subordinato a tempo indeterminato e a tempo. Per evitare l'afflusso considerevole di immigrati clandestini, sono stati stipulati anche accordi e intese bilaterali con i Paesi dell'area del Mediterraneo. Gli accordi prevedono, in cambio di un maggior controllo da parte dei Paesi interessati dal fenomeno dell'emigrazione, la possibilità di ingresso per i cittadini extracomunitari, nei limiti stabiliti dai decreti annuali dei flussi, l'inserimento in un'anagrafe informatizzata, previa formazione di apposite liste anche per le attività di carattere stagionale, e forme di lavoro seguite da interventi formativi e di addestramento per un positivo reinserimento nei Paesi di origine. (continua)