Scritto da Salvatore Bonura (foto accanto) - 11 marzo 2023 L’Italia è un paese strano. Molto strano. Basti pensare che nonostante il tessuto imprenditoriale sia popolato da micro e piccole imprese (0- 49 addetti) le leggi che vengono emanate dal Parlamento e dalle Regioni seguono, quasi sempre, il modello della grande impresa.

Gli Istituti di credito e i mass media (giornali e televisioni) seguono lo stesso andazzo: i primi privilegiando nell’erogazione del credito le imprese medio grandi; i secondi ospitando nelle loro trasmissioni e, in particolare, nei talk show, quasi sempre imprenditori e manager dai nomi altisonanti. Che il Belpaese abbia il primato in Europa della piccola impresa diffusa non lo sostengo solo io, che sono l’ultima ruota del carro, lo sostengono i dati, che, come si sa, hanno la testa dura. In Italia infatti il 99,4 % del tessuto imprenditoriale è composto da micro e piccole imprese che – nel confronto europeo su dati Eurostat – occupano il 62,8 % della platea lavorativa delle imprese; un dato superiore a quello della media dell’Europa a 27, che è del 48,5 %, mentre la Germania e la Francia si attestano rispettivamente al 40,8 % e al 38,4 %. In sostanza l’Italia è il primo Paese europeo per occupazione nelle micro e piccole imprese del manifatturiero con 1.902.000 addetti, mentre in Germania il numero degli addetti si attesta invece a 1.618.000. Il quadro d’insieme ci dice che nel nostro Paese ci sono 4.211.615 di imprese (fino a 10 addetti) che in valori percentuali corrispondono al 95,1 % delle imprese attive che danno lavoro a 7.489.913 persone (43,7 %). Alzando l’asticella a 49 addetti abbiamo 4.399.289 imprese (99,4 % delle imprese attive) con una forza lavoro occupata di 20.863.105 persone. Infine, per quando riguarda le imprese artigiane, queste sono 1.284.198 , il 21,2 % delle totalità delle imprese, occupano 2.613.608 persone e contribuiscono per il 15,0 % degli occupati delle imprese Ciò nonostante, come dicevo prima, le leggi che vengono sfornate dal Parlamento e dalle Regioni obbediscono alle esigenze delle medio e grandi imprese. Tanti sono gli esempi che si potrebbero fare a questo proposito, ma per evitare di allungare troppo il brodo e di non tediare ulteriormente il lettore ne faccio solo uno riferito all’accesso agli appalti. La piccola impresa da sola può accedere potenzialmente al 17 % degli appalti pubblici. E la quota che riescono ad aggiudicarsi è di circa il 5 % del suo valore. Un dato questo che si desume dall’analisi effettuata dal centro studi della CNA su oltre 6 mila bandi di gara riguardanti 28 città italiane. Un mercato degli appalti pubblici che è passato dai 100 miliardi di euro del 2016 a quasi 200 miliardi nel 2021. Ma perché è difficile per una piccola impresa accedere a un appalto pubblico? È difficile perché ci sono troppe modifiche normative sicché lo stesso atto di accedere a un appalto pubblico è un’impresa. Basti pensare che sono state fatte 813 modifiche al codice degli appalti; sono stati emanati 45 decreti ministeriali; sono stati sfornati, sempre in materia di appalti pubblici, 17 linee guida e dulcis in fundo nel nostro magnifico Paese ci sono 36 mila stazioni appaltanti che adottano pratiche differenti. Se a questo si aggiunge il fatto che solo il 18 % dei bandi prevede la suddivisione dell’appalto in lotti, che il 30 % delle procedure si svolge ancora con modalità cartacea e gli allegati possono raggiungere anche il numero di 150, si capisce perché per le piccole imprese partecipare a un appalto è come scalare una montagna, una vera e propria via crucis. Relativamente all’atteggiamento degli Istituti di credito nei confronti della micro e piccola impresa é sufficiente riportare quando scrive l’Ufficio Studi della CGIA di Mestre: “Banche: sono crollati i prestiti alle partite Iva. Sale il rischio usura”. Ciò perché continuano a diminuire i prestiti bancari alle piccole e micro imprese. Tra il 2021 e 2022 infatti gli impieghi vivi (al netto delle sofferenze, vale a dire che non presentano insolvenze) alle aziende con meno di 20 addetti (98% delle imprese italiane) sono scesi di 5,3 miliardi di euro. Di conseguenza lo stock complessivo dei prestiti erogati a questo segmento di imprese è passato da 124 a 118,7 miliardi di euro. Per essere ancora più espliciti, non stiamo parlando del sesso degli angeli, ma dei prestiti concessi a una platea di micro e piccole imprese costituita da artigiani, esercenti, piccoli commercianti, lavoratori autonomi. Infine, per quanto riguarda l’atteggiamento dei mass Media, forse sarebbe meglio stendere un velo di pietoso silenzio. Perché quasi sempre a esprimere un’opinione, a dare un giudizio sulle scelte di chi governa, vengono chiamati da giornali e televisione, quasi sempre i soliti noti; e quando qualche volta viene invitato un rappresentante della micro e piccola impresa, non gli si da neppure il tempo di completare un concetto, come è accaduto qualche settimana fa in un’importante talk show che affrontava il problema del superbonus. Che fare rispetto a simili atteggiamenti? A mio giudizio occorre assolutamente cambiare paradigma di comportamento da parte di tutti, in particolare di chi è chiamato ad esitare norme di legge, di chi gestisce il risparmio ed è preposto ad erogare il credito, e di chi fa informazione. Solo cambiando paradigma, modello di comportamento, si potranno rappresentare i problemi e le esigenze del paese reale, e non quelli degli amici degli amici.