PRESENTATO A ROMA IL LIBRO DI SIMONE MARINO VARISCO SULL’EMIGRAZIONE ITALIANA IN AUSTRALIA “LA FOLLIA DEL PARTIRE, LA FOLLIA DEL RESTARE”
 Perego (Migrantes): “Questa opera ci aiuta a leggere un tassello delle emigrazione italiana che non è solo una pagina della nostra storia ma è un fatto della nostra attualità”
 
ROMA – Non sarebbe una novità parlare della presentazione di un libro sulle emigrazioni se prima di tutto il luogo preso in esame non fosse l’Australia, il nuovissimo continente come veniva chiamato nell’Ottocento, terra lontanissima, che richiamò specialmente per la folle “corsa all’oro”, e se il tema trattato non fosse incentrato sulla “follia”. L’autore è Simone Marino Varisco, il titolo è “La follia del partire, la follia del restare”, con il sottotitolo “Il disagio mentale nell’emigrazione italiana in Australia alla fine dell’Ottocento” che illustra molto bene il contenuto delle 94 pagine. Il volume, edito dalla Tau, fa parte della collana della Fondazione Migrantes “Testimonianze ed esperienze delle migrazioni”, è stato presentato a Roma presso la Sala Marconi di Radio Vaticana. A trattare un tema così delicato, ma soprattutto così poco affrontato quando si parla di migrazioni sono stati invitati oltre all’autore, nell’ordine, Padre Federico Lombardi, Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Mons. Gian Carlo Perego, Direttore Generale della Fondazione Migrantes, Federica Gaspari, psicologa sociale della Cooperativa sociale Parsec, Elisabetta Mondello, docente di Letteratura Contemporanea e direttrice del Master in Editoria, giornalismo e management culturale dell’Università “La Sapienza” di Roma. Le conclusioni sono state affidate all’autore mentre il giornalista Luis Badilla Morales, direttore de “Il Sismografo” ha aperto e coordinato gli interventi. Il volume prende in esame l’emigrazione italiana della metà dell’Ottocento verso una terra così lontana come era ed è vista l’Australia, ma in particolare si addentra a scandagliare il flusso migratorio proveniente dalla Valtellina e da tutto quell’arco alpino di cultura e lingua italiana che, come tanti altri che affrontarono i viaggi della speranza, allora come oggi, ne subirono le conseguenze, non solo fisicamente ma anche psicologicamente. Varisco traccia questo aspetto importantissimo che segna la gente che emigra, un dolore silenzioso, che corrode l’anima, il cuore e la mente. Il libro è nato dall’ampliamento di un saggio come scrive Mons. Perego nella presentazione del volume “Questo testo, così come avvenuto negli anni precedenti per altre tematiche (…) è una versione più ampiamente elaborata da parte dell’autore di un saggio pubblicato all’interno del Rapporto Italiani nel Mondo 2015, dal titolo “La follia del partire, la follia del restare. Il disagio mentale nell’emigrazione italiana in Australia fra Otto e Novecento”, nella consapevolezza che molte volte le ricerche abbiano la necessità, per essere trattate nel modo più completo possibile, di spazi autonomi di realizzazione (…) Migrare è partenza, e il partire significa allontanarsi dagli affetti e dalle certezze e molti migranti non riescono a superare il dolore dello strappo. Il cammino, il viaggio non sempre è facile: talora porta solitudine, fatica, anche violenza”. La presentazione è stata aperta con un filmato costituito da una serie di foto che hanno illustrato sia come gli italiani giunti in quella terra così lontana si erano organizzati cercando di conservare le proprie abitudini, sia i tanti luoghi di internamento delle persone segnate psicologicamente. “Sembra una storia antica, vecchia nel tempo eppure così attuale” ha detto Morales nel passare la parola a Padre Lombardi che ha ringraziato per l’invito a partecipare perché ha detto “mi sembra un’iniziativa molto appropriata e molto bella quella di trovarsi a riflettere su questo libro, su questo tema. Mi pare che sia un elemento di un discorso che con la Fondazione Migrante si sviluppa anche più ampiamente ma tocca questa volta a discutere un tema particolarmente sensibile e non spesso approfondito che è giusto prendere con attenzione e rispetto”. Lombardi Ha continuato facendo riferimento alle sue esperienze con gli emigrati. In primis ha ricordato che nella zona del cuneese, da dove proviene, emigravano scendendo semplicemente dall’altra parte delle montagna ritrovandosi in Francia, terra in cui si ambientavano subito per la vicinanza culturale. Poi in Germania con l’emigrazione degli anni ’60 – ’70 con gli emigrati provenienti specialmente dal sud Italia. Qui ricorda erano le donne ad avere problemi di ambientazione soprattutto legati alla lingua. “Ma credo – ha detto padre Lombardi – che il motivo per cui mi avete invitato è evocare la grande attenzione che adesso su tutti i temi delle migrazione viene data nella Chiesa, in particolare con la spinta, l’ispirazione e l’attenzione che vi dedica papa Francesco”. La famiglia del Papa aveva vissuto in prima persona l’esperienza del distacco, del viaggio quindi il Pontefice dice “conosce in modo spontaneo, naturale, istintivo, le tematiche e i problemi dell’immigrazione e delle difficoltà di ambientarsi in altri Paesi o di affrontare le grandi distanze, gli sforzi e il superamento degli ostacoli, per raggiungere delle speranze nuove degli ambienti di vita in cui uno si attende di trovare delle possibilità per la realizzazione della propria vocazione e chiamata alla vita umana piena con la sua dignità e con le sue possibilità di sviluppo”. “Questa consapevolezza – ha continuato padre Lombardi – il Papa ce l’ha saputa dare non tanto forse con le parole quanto con i suoi viaggi, le sue attenzioni, a partire dalla visita a Lampedusa poi continuando con i tanti altri viaggi, in particolare quello recente in Messico. Padre Lombardo non poteva poi non ricordare l’ultimo recente viaggio del Papa a Lesbo: “vi è una situazione molto caratteristica, una frontiera estremamente importante dei grandi movimenti di migrazione di oggi, dall’Asia verso l’Europa. Il Papa vuole essere presente anche fisicamente e richiama continuamente in tutti i suoi discorsi il fatto che questi fenomeni vanno visti come movimenti di persone e non di masse impersonali, di numeri. Persone con le loro speranze, i loro destini e le loro sofferenze. Il Papa – ha proseguito Lombardo – ne ha parlato veramente in tutte le grandi occasioni a tutti i responsabili e ai corpi diplomatici” Concludendo Lombardi ha ribadito il suo interesse per il volume , in quanto focalizza l’attenzione sulle persone, sulle loro speranze, sui loro dolori, entrando negli aspetti più delicati che si affrontano nell’esperienza delle migrazioni anche se qui si parla nello specifico di un solo paese. Dal canto suo Perego ha ricordato come il volume sia una testimonianza del lavoro portato avanti dalla Fondazione Migrantes che spinge a una correlazione tra le storie di emigrazione di ieri e le storie di migrazioni di oggi, per non dimenticare un’attenzione integrale, sempre sottolineata dal Magistero sociale della Chiesa fin dall’inizio, alla vita del migrante, di cui la salute, come la famiglia, la scuola, oltre al lavoro sono elementi importanti. “La disabilità mentale di ieri, – spiega Perego – frutto di sradicamento, di solitudine, di violenze, ci dovrebbe aiutare a una lettura non superficiale e pregiudiziale delle storie e della vita dei migranti di oggi, soprattutto dei migranti forzati, in fuga da situazioni drammatiche e che sbarcano sulle coste dell’Italia e dell’Europa. Il primo aspetto su cui ho focalizzato l’analisi del testo – ha proseguito Perego – ci aiuta a leggere un tassello delle emigrazione italiana che non è solo una pagina della nostra storia ma è un fatto della nostra attualità. 101mila giovani che l’anno scorso hanno lasciato il Paese, raggiungendo anche l’Australia, ci ricordano che ancora oggi il tema dell’emigrazione italiana non è un tema semplicemente storico, ma che accompagna la vita delle persone, in un momento di crisi economica e di disoccupazione che raggiunge il 39%.”. “La seconda riflessione – continua poi Perego – riguarda proprio il tema del libro, cioè la salute tante volte trascurata nella lettura della vita del migrante e nello specifico la salute mentale. Una mancanza che riguarda le letture dei flussi migratori di sempre”. “Invece – prosegue Perego – questo libro aiuta a leggere dal di dentro la vita e la storia delle persone nell’aspetto fondamentale della salute, ricordandoci un modello di cura che con fatica abbiamo superato anche nel nostro Paese”. Riferendosi alla legge Basaglia Perego ha poi evidenziato come nonostante questa norma su tema della salute mentale in Italia l’ultima pagina non sia stata ancora girata, avendo ancora negli ospedali psichiatrici e giudiziali 1362 persone. Perego ha poi commentato le foto mostrate all’apertura dell’incontro. “le immagini manicomiali ci rimandano al tema della famiglia e della casa, e non si può ritrovare la salute senza questi temi. E’ un aspetto molto importante che spiega come nelle battaglie sociali più importanti anche a favore dei migranti affrontate dalla Chiesa fin dalla fine dell’ottocento, il tema del ricongiungimento familiare sia stato fondamentale proprio per aiutare la cura e la salute delle persone”. “Il libro – ha inoltre precisato Perego – aiuta a capire i tre punti fondamentali che influiscono sulla salute della persona che si mette in viaggio. Bisogna leggere la partenza, con i traumi legati al distacco. La partenza poteva infatti significare anche un addio per sempre, specialmente per chi raggiungeva l’Australia, traumi che toccavano la salute della persona”. Poi in ordine al percorso c’era il viaggio, che come ricorda Perego “poteva essere drammatico, poteva significare anche la morte. Specialmente quelli transoceanici portavano con se una serie di eventi, c’erano le violenze, la fatica dell’accettazione, la fatica di avere il necessario, tutto questo segnava la salute, non solo fisica ma anche psichica della persona”. E infine l’arrivo “che tante volte significava la caduta della speranza, una storia diversa da come era stata costruita alla partenza”. Illusioni che svanivano e lasciavano posto a storie e sfruttamento che tante volte marcavano la vita della persona nella sua fragilità. Tre tappe che vanno monitorate, custodite con attenzione, che vanno presidiate sul piano sociale e anche sanitario. Il quinto elemento, spiega Perego, viene di conseguenza e cioè “che questa pagina di storia della follia di questi nostri emigranti, richiama anche alla pagina della follia di tanti migranti di oggi. Tante volte – continua – non si segnala sufficientemente la situazione drammatica dalla partenza fino all’arrivo dei migranti che sbarcano sulle nostre coste. La storia del distacco, genera nuova follia, non solo per chi è partito ma anche per chi è rimasto solo ed è fragile”. Facendo riferimento ad un convegno organizzato dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Emilia Romagna, Perego segnala come l’80 per cento delle persone in cura siano migranti. Guardando alla solitudine di chi resta ricorda inoltre che i due paesi che in Europa hanno il più alto tasso di suicidi in età minorile e adolescenziale sono l’Ucraina e la Romania, che hanno un alto numero di madri che si trovano all’estero come badanti. “E’ importante denunciare anche attraverso questo libro – ribadisce Perego – un aspetto importante che ancora una volta dimentichiamo e cioè i tanti ragazzi che arrivano tra noi e che hanno bisogno di cure, anche sul piano dell’accompagnamento”. Perego infine sottolinea che il tema della salute deve essere tra i fattori citati nell’inclusione sociale come lo è la scuola, il lavoro, la casa e ricorda che da una ricerca fatta tre anni fa con i medici di famiglia, in Italia su tre immigrati regolari solo uno aveva il medico di famiglia. . A seguire la parola è passata alla psicologa Federica Gaspari, che, commentando la parte finale dell’intervento di mons Perego ha ricordato come in Italia non sia prevista nessuna esenzione sanitaria per le vittime della tratta, nessun diritto alla salute per persone che abbiano effettuato una denuncia contro organizzazioni criminali che le hanno sfruttate Per la Gaspari il libro di Varisco, attraverso la raccolta di documenti (cartelle cliniche, lettere e quant’altro) documenta il passaggio di queste persone nei centri di internamento che lo stesso autore definisce impronte “ricordano un po’ le impronte dei migranti di oggi, le stesse impronte digitali raccolte quotidianamente negli hotspot agli stranieri che arrivano sulle nostre coste”. Il disagio mentale, secondo la Gaspari, rappresenta in qualche modo “una incognita per eccellenza e in questo senso si riflette bene nell’incognita del territorio australiano all’epoca sconosciuto, il continente ‘nuovissimo’ come veniva chiamato”. Alla Gaspari il lavoro di Varisco ha suggerito “l’accostamento con il lavoro descritto da Abdelmalek Sayad il più grande sociologo dell’immigrazione, migrante lui stesso, che si è occupato a lungo del tema e che ha sempre sottolineato come di immigrazione si possa parlare sempre da due punti di vista, ovvero da quello della società del paese da cui si emigra e da quello del paese in cui si giunge”. In questo gioco di specchi, come lo definisce “l’identità del migrante si costruisce nel passaggio da una società e l’altra, è una identità difficile da ricomporre, Sayad la chiamava identità della doppia assenza, perché connota il migrante straniero in due contesti diversi”. E qui torna il concetto descritto anche da mons. Perego, quello di arrivo. “Quando si arrivava – spiega la Gaspari – si veniva considerato come straniero, l’italiano in Australia veniva chiamato con un termine dispregiativo ‘dagos’, e nel caso che rientrasse in Italia veniva chiamato ‘austragliero’. Una persona che non si sentiva a casa da nessuna parte”. Quindi chiaramente una persona fragile nella sua identità, e sottoposta a disagi di carattere fisico. “I migranti sono spesso affetti da numerose malattie e disturbi psicosomatici – continua la Gaspari- e ancor di più da un punto di vista mentale e psichico. In questo elemento sicuramente un aspetto fondamentale è costituito dalla lingua. La difficile identità meticcia per molti italiani emigrati in Australia è stata impossibile da raggiungere perché a contatto con una società molto rigida non pronta all’integrazione, non era una società flessibile, l’unica possibilità poteva essere il totale annullamento delle proprie radici culturali oppure la manifestazione di un disagio. In assenza di una capacità di relazionarsi con un mondo altro nasce la difficoltà di una espressione di se. E l’unica espressione di se – precisa la Gaspari – diventa la malattia, un simbolo di comunicazione. L’esclusione e l’isolamento soprattutto da un punto di vista della comunicazione e della lingua fanno sì che l’espressione del sintomo, fisico e psicologico, rappresentino una forma simbolica, a volte l’unica, di contatto con la realtà esterna. Dalla ‘melancholia’ descritta da Varisco dei pazienti italiani ospitati presso gli asili dei lunatici australiani, al disturbo post-traumatico da stress manifestato da molti migranti odierni ospiti dei nostri centri di accoglienza, varie sono le forme culturalmente e storicamente determinate con cui la psiche mostra la sua sofferenza”. L’ultimo intervento è affidato alla professoressa Elisabetta Mondello che plaude al libro di Varisco in quanto attraverso delle microstorie, in questo caso le vicende di alcuni immigrati italiani in Australia alla fine dell’800, racconta una storia con la M maiuscola. Una macrostoria quella dolorosa dell’immigrazione. A questo proposito cita lo scrittore australiano Robert Hughes e la sua opera più celebre “La riva fatale”. “Definizione – dice la Mondello – coniata per il suo paese d’origine in cui si narra l’epopea del ‘continente novissimo’, che fu pensato dall’Europa come un immenso campo di concentramento. Le antiche storie degli immigrati italiani, destinati in percentuali sconvolgenti alla malattia psichica, interrogano il lettore sul destino dei migranti di ogni nazionalità e paese, condannati ancor oggi allo sradicamento, allo sfruttamento e ad infiniti disagi dalla “cultura dello scarto” che, nell’800 come oggi, li disumanizza e li considera superflui”. Concludendo la parola all’autore Simone Marino Varisco, storico e saggista che per la Fondazione Migrantes ha scritto “Nossa Senhora de Caravaggio”. “La Caravaggio oltre il mare”, nel Rapporto Italiani nel Mondo 2014. L’autore sottolinea come la sua opera sia un libro di storia ma è anche del presente, ricordando che l’Italia è ancora oggi un paese di emigrazione, con tanti ragazzi che partono, ma anche di immigrazione. Per Varisco i problemi narrati nel libro sono dunque ancora attuali. Secondo l’autore la memoria è un elemento che accomuna tutti e purtroppo la “melancholia” o depressione è un rischio comune a tutti. L’ultimo pensiero l’autore lo dedica alla riflessione di Papa Francesco su quanti sono i muri costruiti e quanti invece i ponti. (Nicoletta Di Benedetto-Inform)