Movimenti migratori si sono avuti fin dal passato più remoto: emigranti erano, per esempio, i Fenici e i Greci che costituivano e popolavano colonie sulle coste del Mediterraneo; emigranti erano i Barbari che invasero l'Occidente durante l'alto Medioevo; emigranti erano i pionieri che andavano a sfruttare le colonie americane dopo le grandi scoperte geografiche. Le prime grandi emigrazioni sistematiche si ebbero però solo nel sec. XIX, determinate dalla rivoluzione sia industriale sia demografica.

La rivoluzione industriale portò a trascurare l'agricoltura, così che gran parte della manodopera addetta alla terra, attratta da nuove possibilità di lavoro, si riversò nelle città, spesso peraltro non riuscendo a trovare un'occupazione stabile, o per effetto della stessa meccanizzazione, o a causa delle frequenti crisi di sovrapproduzione che si determinavano. Manodopera disoccupata e popolazione affamata furono d'altra parte il prodotto anche di gravi crisi agricole (è il caso degli Irlandesi emigrati negli Stati Uniti alla metà del sec. XIX per i disastrosi raccolti di patate). Fu però soprattutto l'eccezionale espansione della popolazione dovuta all'incremento della natalità e alla contrazione della mortalità, che determinò l'emigrazione in massa dal continente europeo. Il flusso fu alimentato dai Paesi dell'Europa nordoccidentale fin verso la fine del sec. XIX, quando, per la diminuita pressione demografica e il consolidato sviluppo economico, si ridusse notevolmente. Furono allora i Paesi dell'Europa sudorientale, all'inizio del processo di industrializzazione e ad alta pressione demografica, a dare impulso all'esodo. Maggior polo di attrazione dell'emigrazione europea furono inizialmente gli Stati Uniti, seguiti poi dal Canada, dall'America Latina, dall'Australia, territori ricchi di terra coltivabile e di risorse minerarie, ma poveri di manodopera. Dal 1850 alla vigilia della prima guerra mondiale si calcola siano emigrati dall'Europa più di 40.000.000 di individui, oltre la metà dei quali diretta negli Stati Uniti. Il periodo di massimo deflusso è stato il decennio 1901-10 con una media annua di emigranti dall'Europa nordoccidentale pari a 350.000 unità e dall'Europa sudorientale pari quasi a 1.000.000. In totale nel periodo 1850-1950 l'Europa ha visto emigrare verso altri continenti ca. 55.000.000 di individui, non meno di 30.000.000 dei quali definitivamente. Dalla Gran Bretagna e dall'Irlanda ne sono emigrati più di 20.000.000, dall'Italia oltre 10.000.000, dalla Germania 5.000.000 e altrettanti dai territori dell'ex Impero Austro-Ungarico. Dopo la prima guerra mondiale, in ogni caso, il deflusso di popolazione dal continente europeo subì un notevole rallentamento sia per le politiche restrizionistiche poste in essere dai Paesi di immigrazione (gli Stati Uniti con le leggi del 1917 e 1921, il Canada con la legge del 1931), timorosi che il continuo afflusso di manodopera danneggiasse i lavoratori nazionali, sia per le meno attraenti condizioni economiche dei Paesi di immigrazione, dovute alle frequenti e disastrose crisi (a seguito di quella del 1929-33, l'Australia, per esempio, ha visto quasi annullarsi la propria immigrazione), sia per le politiche limitatrici dell'emigrazione attuate dai Paesi d'origine (Italia e Germania). In effetti nel decennio 1921-30 la media annuale degli espatri dall'Europa per altri continenti scese a 277.000 per i Paesi dell'Europa nordoccidentale e a 360.000 per quelli dell'Europa sudorientale: dal 1931 al 1941 la media per il primo gruppo di Paesi fu solo di 83.000 e per il secondo gruppo di 112.000. (segue)